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Star Wars: Episodio VIII - Gli ultimi Jedi

Disegno di Filippo Rossi Jedifil: Luke Skywalker in Star Wars Episodio VIII - Gli ultimi Jedi Fantascienza

L’unico retaggio

del Cavalierato spaziale!

parte 2 (di 2)

analisi di Filippo "Jedifil" Rossi, scritta il 9 gennaio 2018

Oggetto 1/bis: la spada spezzata

 

Gli eroi di Star Wars devono tutti porre rimedio a un unico super guaio: i tentativi millenari dei Cavalieri dell’Ordine Jedi di spiegare e controllare la Forza. Lucas critica i suoi leggendari eroi già nel 1977 e poi soprattutto li smitizza nel 1980/1983; molto prima del 1999, l’inizio del crollo nei tre Prequel. Lì, Anakin cade per l’idea maniacale del potere in sé, mai analizzata e mal canalizzata da maestri, luminosi e oscuri, decadenti e rovinati. L’amore per Padmé Amidala c’entra poco, è un sintomo; piuttosto, la sete di potere assoluto va di pari passo con la paura della solitudine. Per impedire la temuta morte dell’amata Padmé bastava non volerla, ossia non aggredirla, ossia non scegliere la via dell’autocrazia dittatoriale. È il destino tragico del Prescelto, destinato a portare l’equilibrio attraversando i propri due inferi personali… paralleli e speculari: tutto il male non è solo da una parte. I millenari Sith sono una reazione alle oltre mille generazioni di Jedi, reazione estrema e contorta ma filosoficamente comprensibile. Il dominio sith delle passioni e della scelta personale sregolata, quindi egoistica, contro il controllo assoluto jedi e la negazione degli slanci - sarà la grande menzogna del Lato Oscuro a distruggere entrambi. Anakin non a caso è fuori scala come conteggio dei Midi-chlorian: è incomprensibile, secondo l’uso jedi... significativo, visto che Anakin è il figlio incarnato della Forza. L’ennesimo segnale: i tentativi di volgarizzare la Forza sono opera dei Jedi nella fiction storica, non forzature di Lucas nella realtà cinematografica: l’autore, ribaltando il concetto, ne racconta il disastro. 
Luke Skywalker, l’eroico combattente dell’Alleanza Ribelle, in Episodio VIII combatte solo una volta: con Rey - dopo aver recuperato la connessione con la Forza nella sala del Tempio caratterizzata dal mosaico nella fontana (raffigura il primo “Jedi Bendu”, esattamente diviso a metà nel suo interno tra bianco e nero, luce e buio, Yin e Yang). Ma Luke si guarda bene dall’usare una spada laser! Rey è frustrata da questo potente alleato che rifiuta il ruolo predefinito di maestro e comandante; inoltre è spaventata dal sorprendente contatto etereo con l’antagonista Kylo Ren. Opera la sua inevitabile scelta: deve intervenire da sola, secondo un piano sublime per semplicità. Se Skywalker rifiuta il suo ruolo, la salvezza della Resistenza sta solo nel ritrovare la luce nel figlio di Han Solo. Luce che lei ha sentito, non ha dubbi… ciò che lega eroina e villain a eoni di distanza è così potente, concreto e inedito! Se la ragazza ha le idee chiare, il vecchio è sempre più disperato. La Forza Cruda per lui è ancora un tabù. Anche se comprende nel profondo Rey, non può ancora accettarne l’impeto istintivo, in apparenza troppo rischioso: del resto la ragazza è ancora troppo inesperta, troppo legata ai suoi sentimenti, troppo fiduciosa di trovare del bene nel Kylo Ren scatenato.
La storia è condannata a ripetersi.
Rey assale Luke con il suo bastone, accecata dalla rabbia, ansiosa di seguire il suo cammino. Luke la fronteggia, un po’ per lo stesso motivo che lo portò a voler fermare Ben Solo. Ma Luke è guarito, non usa armi tecnologiche, solo un’asta. Si difende, non attacca mai. Quando, a un passo dal Male, Rey sfodera la spada degli Skywalker per colpire, Luke rinuncia subito al duello. Cade e non cade: rimane sospeso in aria con la Forza… presagio di quanto succederà poi. La ragazza si ferma, non può colpire un avversario che si arrende. È così salva e libera di intraprendere il suo viaggio stellare, mentre il vecchio dovrà completare il proprio viaggio mentale fino in fondo – non sarà solo.
Da Luke Skywalker, ex-Maestro Jedi fallito e ora Cavaliere Jedi in esilio, a Snoke, Supremo Leader del Primo Ordine e dominatore (?) del Lato Oscuro (??) della Forza. Le due figure in apparenza più venerabili di Episodio VII/VIII, in realtà le più fragili.
Kylo Ren e Rey non vogliono più maestri. Si sentono i maestri di loro stessi, come succede a noi a un certo punto della vita. Un maestro, in effetti, non deve dire a un giovane cosa fare in futuro, né può impedirgli di sbagliare; ma può, piuttosto, raccontare cosa lui stesso ha fatto nel passato, deve descrivere dove lui stesso ha sbagliato. Esercitando l’umiltà. Questa è la seconda lezione di Luke a Rey e, soprattutto, è il più grande insegnamento del fantasma di Yoda al vecchio Luke: il fallimento è l’educatore più prezioso.
E Snoke? Snoke è potente nella Forza… e allora? Snoke è uno stupido con la Forza, che disprezza il fallimento, scimmiotta il passato senza averlo studiato e, per questo, viene distrutto dal presente. Gli stupidi vanno tolti di mezzo da parte di giganti del Male come Ben Solo/Kylo Ren. Snoke ha umiliato e sottovalutato il ragazzetto strepitante, rampollo rabbioso della famiglia bene di SW... ma Ben è ben oltre. Tanto che, alla fine del film, Kylo Ren diventa ciò che ha sempre voluto essere: meglio del nonno; pur mantenendo, anzi potenziando, tutti i suoi dubbi.
Questo avviene dopo l’inevitabile confronto con Rey, gemella di spirito, legame istintivo, inarrestabile connessione sentimentale. I due sembreranno scherzare con Snoke, dopo i necessari pochi minuti di adattamento. Tutta la scena nella sua sala del trono è notevole. Il Supremo Leader esordisce ammettendo l’errore fatale: credeva che il Lato Luminoso e il Lato Oscuro (antiche definizioni già superate) crescessero perché fosse l’esiliato Luke Skywalker a minacciare il suo stesso, egocentrico dominio… Superbo illuso! I due poli della Forza Cruda sono invece i miserabili, disprezzati Rey, la nullità, e Ben, il viziato. Il secondo errore è sopravvalutare il proprio potere affermando di aver assurdamente creato il legame innato tra Rey e Ben. Il terzo e ultimo errore di Snoke è mettere a morte immediata la ragazza, una volta strappatole il bersaglio sbagliato - Luke. Tre errori sono troppi per chiunque, figurarsi per un mediocre. Allora, i due giovani si alleano e si liberano in un istante del giogo di Snoke.
Non è più (solo) un problema di beghe maestro/allievo ma un aperto conflitto fra due polarità opposte che si attirano l’un l’altra. Yin e Yang. Poli con lo stesso segno si respingono, mentre di segno opposto si attraggono. Ben e Rey si amano, certamente si richiamano. Come poli magnetici: in natura non esistono separati. Ma la cercatrice di rifiuti di Jakku è un’eroina, pur essendo persona: sa che non può cedere a questo amore, se la allontana da se stessa sulla strada del dominio sugli altri. La dichiarazione d’amore di Ben Solo è lancinante e contorta, una specie di angosciato ricatto; Rey resiste e si ribella. Ella sa come evitare la trappola del passato, che ha avvinto l’alta e nera controparte: accettare come si è, la propria paura, la propria fragilità, per evitare di giudicare se stessi o gli altri. Lo specchio è stata una bella lezione.
Dallo spettacolare multi-duello con le sentinelle rosse, due contro molti, alla mano tesa di Kylo Ren il passo è brevissimo; ma il passo dalla mano tesa alla feroce lotta per il possesso dell’oggetto starwarsiano per eccellenza, l’arma di luce, è molto più difficile. Questa rimane sospesa tra i due contendenti, nella scena tra le più geniali della Saga.
La spada si spezza. In ogni leggenda o mito ciò ha una valenza simbolica fondamentale (vedere l’orgoglioso duello tra Re Artù e Lancillotto del Lago in “Excalibur” di John Boorman, 1981: vi si rompe ciò che non poteva essere rotto, ossia la spada magica simbolo di speranza, forgiata per unire e non dividere). La “sciabola di luce”, in originale lightsaber, non è per niente fantascienza “seria”, è bensì epica serissima. L’immagine di un tempo passato, non da idolatrare ma da seppellire, imparandone gli errori epocali. Luke odia i Jedi e le loro spade laser, com’è giusto e umano fare. Solo, non ha il coraggio di ammetterlo. Alla fine di Episodio VIII lo imparerà.
Episodio VIII è il film che finalmente uccide le spade laser come simbolo benigno di Star Wars. La vera Saga delle saghe è tale anche perché sa lavorare sulle proprie simbologie più potenti e, senza paura, spezzarle per poi sublimarle: come fece già Lucas, ad esempio smontando nei Prequel il mito consolidato di Yoda e dandogli così multi-dimensionalità. Oggi la Lucasfilm smonta dall’interno il mito delle lightsaber per rilanciarlo potenziato. Si può dire che il vero “Super-Cattivo” degli Ultimi Jedi di Johnson è, genialmente, la spada laser azzurra di Anakin Skywalker, che viaggia, seducendo tutti gli eroi, da Episodio III, attraverso tutta la Trilogia Classica, fino agli attuali Sequel Disney, in cui incontra quella che pare essere la sua fine cinematografica. È questa la prova della tragedia interna di Star Wars: gli uomini e le donne sembrava, purtroppo, dovessero combattere (magari con le maledette spadine luminose) per provare di avere, o di essere degni, della Forza. Invece, Star Wars trionfa mostrandosi filosoficamente contro le armi – sì, anche contro le spade laser. In questa Saga Stellare la tecnologia può facilmente essere il vero male, e diventa il Male Assoluto quando viene declinata in chiave bellica. Proprio come in Tolkien. E spade laser o Morte Nera, pari sono; oltre tutto, sappiamo da “Rogue One” che luminose lightsaber e oscure Death Star sono alimentate dagli stessi Cristalli Kyber!
Questa rigenerazione Disney ha proposto tre nuovi film strapieni di particolari significativi, degni della Saga più vasta della quale fanno parte integrante. Se consideriamo i Cavalieri Jedi il male di Star Wars, tutto la complessità dei milioni di dettagli assume una luce più chiara. Sulle loro eroiche “oltre mille generazioni” di esistenza non si può né di deve sapere tutto, ma di certo il risultato finale, presente negli Episodi filmici di SW fin dal primo, è evidente: impedire il libero arbitrio, ergersi a dio e controllare l’incontrollabile. Non è concepibile una corruzione filosofica e un Male peggiori. Non c’è però nessun relativismo etico… Bene contro Male in Star Wars, come in Tolkien, è lotta contro il pericolo del potere assoluto e, allo stesso tempo, umiltà nel considerare se stessi in relazione all’Infinito cosmico/Dio. Temi altissimi e profondissimi, visibili per ora nelle figure speculari di Ben Solo e Rey. Star Wars è la più grande Saga dell’umanità anche perché tratta l’evoluzione o l’involuzione psicologiche dello spirito umano, al di là delle scenografie visive o concettuali. Il Male è fare del male (agli altri); il Bene è l’atto deliberato in senso opposto. Per questo è pazzesco vedere Ben e Rey che si contendono con il pensiero la spada sospesa tra loro, mentre tutto intorno trema; arrivando a romperla in due tronconi.
La Forza è un’entità superiore che racchiude entrambi i poli, come racchiude qualsiasi polo, e ne permette la scelta. Sta a ciascuno la decisione sul cosa perseguire. Senza mai essere perduti in strade senza uscita, non importa quale strada sia. Da sottolineare che il premio andrà sempre a chi opererà la scelta giusta, per il bene comune. Recentemente, è stato il film “Rogue One” a fare il discorso preciso sulla Forza provvidenziale, che ne chiarisce l’inclinazione benigna senza se e senza ma.
Star Wars è sempre stato così, fin da quando Anakin Skywalker ha fatto la scelta di uscire dal Lato Luminoso prima, nel 2005, e poi Darth Vader ha fatto la scelta di uscire dal Lato Oscuro, nel 1983. Non c’è nessun relativismo, ma scelte personali che si pagano fino in fondo. 
Adoro l’idea di Rey figlia di sconosciuti criminali, non significativi nella Forza, ma sto ripensando il concetto... vista anche la cerca della mappa stellare spezzata (il Graal del Risveglio della Forza) per raggiungere Luke Skywalker sul pianeta dimenticato, che è l’Avalon o l’Atlantide di SW. Un frammento era, logicamente, in R2-D2, dormiente al fianco della sorella gemella Leia. L’altro era in mano all’insensibile alla Forza e amico della vecchia Ribellione Lor San Tekka... proprio su Jakku. Luke, distrutto, si era staccato dalla Forza ma voleva “inconsciamente” farsi trovare da qualcuno non che la usasse, ma che ne fosse “usato”. E guarda un po’... Rey è su Jakku! Ricordo che in “Rogue One”, film capolavoro, tutti gli eroi e antieroi, per la stragrande maggioranza insensibili, sono costantemente e provvidenzialmente usati dalla Volontà della Forza.
Inoltre... se Kylo Ren avesse detto a Rey quello che lei teme di sentirsi dire, per portarla alla disperazione e sedurla nel cammino del potere assoluto? Ma Rey, grazie agli affetti della Resistenza e di Han Solo e grazie all’esempio di Luke Skywalker e, paradossalmente, dello stesso Ben, resiste al colpo. Rey è l’unico allievo in nove film di SW che per Yoda è già “pronto”. La prova della solitudine, nel buco del “Lato Oscuro”, è stata già superata. L’essere insignificante, inutile, sradicata e abbandonata non conta, se si crede. Se si è la Forza. 
“La Forza sei tu.”

 

Oggetto 5: l’anello donato

 

Oppure… con l’energia immane fornita dal salto suicida nell’iperspazio del Vice-ammiraglio Amilyn Holdo di Gatalenta, magari si sono creati due monopoli magnetici e, per questo, la spada laser si spezza in due? OK, lasciamo da parte le oziose domande fantascientifiche e le relative, inadeguate risposte retoriche… parliamo di cose serie.
Non c’è equivalenza tra la posizione di Rey e quella di Ben: tra Bene e Male rimane un’asimmetria, l’Equilibrio superiore va raggiunto seguendo altre strade… Infatti, Ben Solo/Kylo Ren si lascia andare al suo sentimento egoistico e aggressivo, che lo dirige in un percorso totalitario la cui meta non può che essere la distruzione universale; quindi anche la sua. Mentre il sentimento cui si lascia andare Rey è di compassione assoluta, desiderio di libertà per tutti; che la porta anche alla rabbia verso un Luke che pare aver scelto di non scegliere. Tra i due poli è più forte il secondo, che preserva l’esistenza senza pulsioni autodistruttive. Però, la Forza agisce nella Galassia tramite un organismo complesso di esseri autonomi. Gli eroi e antieroi di SW giocano in squadra, volenti o nolenti. Chi è più potente e chi meno, chi fa meno errori e chi di più, chi lo intuisce e chi lo ignora, chi ci crede e chi lo rifiuta; ma l’intero gioco è un enorme movimento di gruppo che cerca l’equilibrio superiore, rendendo complementare ciascun moto singolare. Che integra tra loro tutte le scelte personali secondo un disegno più vasto, di tipo provvidenziale.
Così forse si può capire anche la sequenza tra le più discusse (e ridicolizzate) del film, quella della resurrezione nello spazio aperto del Generale Leia Organa.
Avviene durante l’inseguimento nella Galassia tra il Primo Ordine e la Resistenza, la parte d’azione del film che, se da un lato richiama il vecchio inseguimento delle forze imperiali di Darth Vader al Millennium Falcon di Han in Episodio V, dall’altro lato risulta la parte per me più debole del film. Eppure, Rian Johnson sa che è necessario far agire la Resistenza di Leia, Poe Dameron, Finn, BB-8 e della meccanica Rose Tico, portatrice esordiente dell’anacronistico anello ribelle. Anche qui regala notevoli colpi di classe uniti a un ritmo sfrenato.
Kylo Ren sta per effettuare il secondo, definitivo taglio finale con il suo passato genitoriale. Dopo aver ucciso Han Solo, il padre laico, sta per eliminare la madre mistica. Vi rinuncia, segnale ennesimo del suo legame con la luce. A colpire ci pensano i piloti testoni del regime - subito puniti dal loro leader. A Leia capita qualcosa di imprevisto, clamoroso: muore. Fluttua nel vuoto dello spazio, congelata, esanime. Non può far nulla. Fa tutto la Forza, che la usa, da sempre, come mezzo principe per intervenire nel bilanciamento universale. Leia è donna: naturalmente sensibile. Nonostante sia una politica incastrata nei vili giochi politici (come succedeva alla madre Padmé), le sue scelte si rivelano sempre giuste per l’Equilibrio della Forza, poiché si amplia nei decenni l’innato contatto con essa. Leia non usa mai, nella Saga, la Forza; si lascia invece usare. È divenuta così potente proprio perché non è Jedi: Luke le ha risparmiato l’addestramento - in tutta la sua vita le insegna una sola volta… lo vedremo proprio alla fine di questo Episodio VIII. Unica donna protagonista in una storia maschile, seduttrice, figlia naturale e adottiva, amante, moglie, sorella, madre, senatrice, principessa, militare, diplomatica, stratega: ella ha ricoperto tutti i ruoli femminili, è il personaggio più completo. Leia resuscita nello spazio, fluttua illogicamente nel vuoto e ritorna alla nave amica; in seguito, rinata dal coma (nel terzo giorno?), incede in tunica bianco latte, sorta di Gesù Cristo trasfigurato. È sempre stata sovrumana senza nemmeno interpretare l’energia vivente dell’universo, è la dea-madre di SW. Incarnazione di quella speranza che è il motore della Forza, come la Forza è il motore della speranza.
Leia Organa Skywalker Solo è il personaggio in assoluto più connesso alla Forza Cruda, essendone semplice mezzo (come e più del sensibile Jedi eretico Qui-Gon Jinn in Episodio I o dell’insensibile profeta dei Whill Chirrut Îmwe in “Rogue One”); e adesso, per Episodio IX, sarà la figura più decisiva di Star Wars... Torno a parlare della “Raw Force” citata in precedenza da Luke: letteralmente “forza bruta” come nel film, ma che preferisco tradurre in Forza Cruda... come prima della “bollitura” dei Jedi! Non servono altre spiegazioni. L’energia di tutte le cose viventi è sempre intervenuta provvidenzialmente in Star Wars. Se “Rogue One” l’anno scorso ha solamente scoperto il discorso implicito di Lucas, oggi Episodio VIII lo conferma.
La trama effettivamente zoppica, invece, nel rapporto Holdo/Poe. Morto lo storico Ackbar e con Leia in coma, il nuovo Ammiraglio in comando non rivela nulla del piano di evacuazione al pilota testa calda e, così facendo, ne innesca l’ammutinamento suicida. Una possibile spiegazione è che Poe Dameron sia davvero un impenitente idiota, arrogante assassino dei suoi, del quale è impossibile fidarsi in tempo di crisi. Infatti i suoi piani geniali falliscono regolarmente e quasi annientano la Resistenza - Poe crescerà, diverrà vero leader della Ribellione solo alla fine. Inoltre, forse manca (anche se è ben suggerito) tutto un discorso sulla sospettata presenza di una spia nella Resistenza, che getta nel panico autodistruttivo i buoni. In ogni caso si trasmette la disperazione assoluta dei Resistenti, che fa loro commettere diversi errori – tutti pagati fino all’ultimo. Episodio VIII è anche una grande opera sui vari tipi di fallimento.
Della parte sul pianeta-casinò, conseguenza dell’incomprensione tra comandante e sottoposto, evidenzio due elementi. 
In primis l’anello di Rose, ragazza in apparenza inadeguata che diviene dispensatrice di idealismo e insegnante di comprensione superiore. Novella Frodo Baggins, il suo anello ribelle è anacronistico poiché la Repubblica, fino a questa Terza Trilogia Disney, ha governato la Galassia senza dover ribellarsi a nessuno. Ma il sistema democratico è stato distrutto dalla Base Starkiller in Episodio VII e i tempi cambiano velocemente. La co-protagonista orientaleggiante annuncia in tutta umiltà il mutare della marea politica e saprà declamare un comandamento tipico starwarsiano, nuovo mantra spirituale: più o meno, “Non lottiamo per distruggere ciò che odiamo, ma per salvare ciò che amiamo”. Degno di chi crede nell’equilibrio trascendente. Il suo anello dall’antico sigillo rinnova un valore e passa di mano in scene molto spielberghiane di bambini ribelli, che culmineranno nel bellissimo finale.
L’opposto di Rose, gioco classico di qualunque opera, è il secondo elemento: il cinico scassinatore di computer DJ (acronimo dell’inglese “Don’t Join”, ossia il non schierarsi dalla parte di nessuno). Ecco il Male umano, quello vero, quello nostro. Altro che poetico Lato Oscuro! DJ è Han Solo prima di voltare la prua del Falcon per tornare su Yavin 4. Qui si parla di soldi ed egoismo. Il ruolo e l’ambiente in cui vive svelano la verità più semplice e scomoda dietro il trionfante Primo Ordine, che impera trent’anni dopo il regime di Palpatine grazie ai soldi illegali di trafficanti, corrotti e commercianti di armi sedotti con la Forza. Tutto il mondo di DJ giustifica un equilibrio di rapporti nuovo e inestimabile, una critica politica contemporanea che, in Star Wars, c’è sempre stata. L’impunito personaggio di Benicio del Toro tradisce gli eroi se la svigna dalla tragedia vivo e ricco, osando realizzare tutto quel che di indegno un cuore d’oro impedì a Han.
C’è quindi la soluzione catartica dell’inseguimento tattico tra gli Star Destroyer del Primo Ordine e la flagship della Resistenza, la Raddus (era il nome dell’Ammiraglio Mon Calamari che si sacrificò per recuperare i piani della Morte Nera nell’operazione Rogue One). Un pedinamento galattico un po’ artefatto ma, a ben vedere, ben raccontato. 
Messo da parte l’isterico Poe con le maniere forti, la rediviva Leia e Holdo hanno un bellissimo scambio che è il manifesto della Terza Trilogia e, per estensione, dell’intera Saga: Leia si stufa di ripetere l’errato “Che la Forza sia con te” (come abbiamo visto, dovrebbe essere in realtà “La Forza sei tu”) e lascia il motto SW per eccellenza in eredità ai nuovi protagonisti. Quindi, la bellissima Vice-ammiraglio di Laura Dern decide di immolarsi per salvare la Resistenza, tenendo fede al glorioso nome della sua nave kamikaze. La Raddus viene fatta entrare nell’iperspazio al di là della Mega Corazzata Stellare Supremacy, la tana di Snoke, divenendo così un inaudito ariete spaziale. 
La scena è potente a livello visivo, sonoro e concettuale: è l’indiscutibile sacrificio di un eroe per il bene comune. Le navi starwarsiane, prima del salto, accelerano visivamente fin dal capostipite Guerre Stellari: è lo stupefacente effetto visivo delle “stelle filanti” in soggettiva prospettica, decisivo da sempre per la Saga. La mossa militare è clamorosa: semplicemente, come nessuno ci ha mai pensato nell’Extended Universe di SW fatto da quattro decadi di miliardi di fumetti, romanzi, fiction e fan fiction... così succede in quella Galassia: nessuno ci ha mai pensato prima. E il Vice-ammiraglio Holdo, che ci pensa per prima, rischia tutto in una trovata disperata. Applaudo un momento filmico che sa essere sorprendente e originale. D’altro canto i discorsi sulla “credibilità scientifica” sono futili e inesatti. La Hard Science Fiction era in Stanley Kubrick 1968; questo dal 1977 è Star Wars, che modifica ed evolve se stesso da quarant’anni e la cui spiegazione (fanta)scientifica d.o.c. è: chissenefrega, così funziona! Non c’era nulla di coerente, credibile e scientifico né nel Dianoga ’77, né nella Space Slug ’80, né negli Ewok ’83, né nei Gungan ’99, ecc. Era tutto poetico. Usare narrativamente le cinematografiche stelle filanti dell’iper-salto è coerente e artistico, quindi addirittura superiore al genio sub-creatore di Lucas.
Arriviamo al grande finale sul salato e “sanguinoso” Crait, non prima di aver amato il piccolo momento riservato al sottovalutato Generale Armitage Hux di Arkanis: dopo il cortocircuito mentale con Rey per la conquista della spada di Anakin, Kylo Ren è esanime. Hux lo trova così e, dopo aver contato i pezzi in cui è stato tagliato il suo adorato Supremo Leader Snoke, non esita a estrarre il blaster per friggere il giovane avversario a terra. Se Kylo non fosse rinvenuto in tempo, la “sacra” linea degli Skywalker sarebbe stata spezzata e avremmo avuto un Hux signore della Galassia… Invece, il borioso Generale viene costretto con la Forza a giurare fedeltà all’anticristo.

 

Oggetto 6: i dadi dorati

 

Tanto tempo fa in una Galassia lontana, lontana… negli anni d’oro del Primo Fandom Italiano di SW si rideva sul Fantasma della Forza trasparente di Ben Kenobi che nel 1983 si sedeva sul tronco tangibile di Dagobah, spiegando a Luke il suo segreto lignaggio e ordinando di rovinarsi il destino con la distruzione del padre perduto... Ehi, come poteva uno spirito appoggiare il riverito deretano? Oggi, molte generazioni dopo, Episodio VIII risolve pure questo. Lo spirito del defunto verde gnomo Yoda interagisce con la natura di Ahch-To a livelli ulteriori: con un dito trasparente modifica l’esistente. In positivo. Un fulmine scende dalle nuvole gonfie di pioggia, suggella nel concreto il simbolismo più vasto e il suo giovane pupillo, tornato allievo, sa imparare. Da questo momento, mai nella fiction gli spettri immateriali sono stati più solidi.
Quando Luke Skywalker rientra dopo decenni nell’abitacolo del Millennium Falcon la Saga si congela nell’amaro ricordo: la prima cosa che l’ex-ragazzo fa è afferrare i due dadi portafortuna che, una vita prima, erano stati appesi dalla defunta canaglia Han Solo sopra la plancia. Un gesto tenero, filologico, legato alla primissima immagine del Falcon nel 1977, quando su Tatooine Chewbacca vi entrava in fuga dagli Stormtrooper e urtava con la testa leonina i dadi portafortuna… Ma nemmeno la morte del suo amico Han persuade, oggi, il Jedi invecchiato e smarrito ad aiutare Rey. Ci riesce la sua coscienza e il vecchio ologramma fatato della Principessa Leia, proiettato al momento giusto dall’immancabile R2-D2. Rey si convincerà purtroppo che la possibile redenzione di Kylo Ren deve essere tentata senza la collaborazione del classico guru. Eppure, Luke ha ancora qualcosa da dare, qualcosa di insostituibile: la speranza. I dadi dorati dell’umanissimo Han sapranno essere la metafora.
Dopo la partenza di Rey un Luke riunitosi alla Forza ritrova la determinazione: aiutato dal redivivo spirito di Yoda, l’atto da compiere è chiudere con le ultime vestigia dei Jedi. Se c’è qualcosa di evidente e necessario, ormai, è che i giovani allievi hanno bisogno dei vecchi maestri per nascere ma non per crescere. Gli insegnanti sono solo la terra su cui i discepoli germogliano; essi portano il vetusto fardello di doverli a un certo punto lasciar andare, assistendo da lontano ai loro trionfi ed errori frutto unicamente di scelte autonome. Per questo, il dovere del genitore/maestro è la positiva assenza di controllo. Si va oltre il grande tema del cinema americano di sempre: il problema generazionale del padre dal punto di vista del figlio. Questo è invece un film per padri e madri, ciò che dovrebbe essere il loro miglior punto di vista nei confronti dei figli. È un’opera che insegna a essere genitori. In questo senso il fallimento non può che divenire l’inevitabile modello di vita mortale.
Luke è sempre stato ed è un Uomo; l’Uomo, per definizione, sbaglia. Luke d’altro canto e per fortuna è sempre stato ed è un Eroe; l’Eroe, per definizione, esita, si ferma, ammette il suo errore e impara, dando l’esempio e facendosi da parte. È l’evoluzione di un personaggio che, molti anni dopo la vittoria sui Sith, ha dovuto affrontare tante sfide, la più difficile delle quali è stata quella dell’educatore. Ma un eroe può non essere capace di educare: il ciclo vitale è fatto di tentativi riusciti e falliti, di vittorie e sconfitte, di esaltazioni e delusioni. Come Frodo Baggins, e tanti altri bellissimi eroi moderni, icone della complessità umana, Luke Skywalker può venir meno e cadere. Erano allora vere le chiacchiere che giravano: il “muscle villain” di Episodio VIII, dal flashback con Ben Solo fino alla sua redenzione finale, è padron Luke invecchiato. Ostacolo per gli eroi degli Ultimi Jedi proprio perché anche lui Jedi. Se ripenso a questo Mark Hamill mi emoziono: lui, semplice come il suo personaggio, che come un normale fan è stato ed è sconvolto da ciò che è sempre stato e che può essere SW; ma si è messo, nonostante tutto, nelle mani degli Autori… per consegnare un’interpretazione da brividi. Solo l’Oscar come Miglior attore protagonista potrà essere la giusta ricompensa.
Un personaggio che lascia senza parole per le sue gesta finali. Con quel suo sforzo sovrumano, sacrificale nella Forza inganna il nemico per permettere la salvezza degli ultimi amici rimasti in vita. Il “duello in ologramma” con Kylo Ren è semplicemente esaltante.
Su Crait, ecco l’attacco vintage di Poe, Finn e Rose sugli sprinter scassati (è il Lucas che reinventava Flash Gordon a inizio anni ’70) e l’uso della “tecnologia della Morte Nera” per aprire un buco nell’impenetrabile cancello sbarrato della base ribelle in disuso (è il Grond tolkieniano contro le porte di Minas Tirith). Ma è Luke Skywalker a salire nell’empireo. Egli appare solo per permettere la fuga ai pochi membri sopravvissuti della Resistenza. Tutto il fuoco fantascientifico del Primo Ordine non basta a distruggere il primo degli Ultimi Jedi. Serve che Kylo Ren in persona lo affronti, nel classico duello terminale all’arma bianca di Star Wars. 
Luke ha capito. Ha accettato il proprio cosiddetto Lato Oscuro per usare un’energia vivente di tipo negativo. Illude l’avversario da distanze incomprensibili. È ormai oltre. E il film del suo trionfo è tale perché è il primo film di Star Wars senza un duello con le lightsaber tra buono e cattivo! Finalmente la possanza nella Forza si esprime senza un esagerato impiego acrobatico di spade laser, ma con la smaterializzazione spirituale delle armi e degli stessi scontri. La regia di Johnson inganna lo spettatore come inganna Kylo Ren: gli stivali eterei di Luke non lasciano impronte, la sua spada immaginaria viene solo esibita e mai usata - poiché il vero eroe, pur nella sua strabiliante assenza, rinuncia al guerresco cozzare di lame ed evita il conflitto.
Millenni e millenni di addestramenti jedi hanno staccato la Galassia dalla Forza: l’energia vivente dell’universo si percepisce a livello istintivo, fisico, non razionale e pensato. L’Ordine invece, nella sua ansia di controllo, ha rinnegato l’istinto che rende gli uomini tali, ha disprezzato tutti gli entusiasmi e le passioni che sono la linfa vitale più necessaria. Hanno, i Jedi, chiamato tutto questo Lato Oscuro, temendolo e demonizzandolo… senza rendersi conto che null’altro era se non la paura delle proprie pulsioni più profonde e autentiche. Il terrore di conoscersi per come si è e per come si può diventare. Si sono inventati il destino per placarsi la coscienza e poter ignorare la possibilità di scelta. È la scelta, invece, è il libero arbitrio che può condurre all’Equilibrio della Forza: il voler riuscire a riconoscere in se stessi le giuste parti di razionalità e di passione per poter vivere pienamente al servizio del bene comune.
Lo Skywalker afferma che la Forza non appartiene al Jedi, che è vanità dire che se muore il Jedi muore la luce. Invece, Qui-Gon, Anakin, Luke e Leia prima, e adesso Ben e Rey, sono stati e sono la Forza. Ciò conferma che le leggende cresciute intorno all’originaria arroganza dei Jedi, possessori della Forza, ne segnarono la fine. Nessuno può considerarsi indispensabile, nell’universo. È vero, le leggende e gli eroi dovrebbero essere al di là degli errori sciocchi degli sciocchi esseri mortali… ma i Jedi sono esseri mortali e gli eroi sono persone! 
Eppure, nessuno è perduto: “No one’s ever really gone”, dichiara Mark “Luke” Hamill a Carrie “Leia” Fisher durante i momenti più alti del suo immenso personaggio, l’unica lezione che il fratello consegna alla sorella. Traducibile anche con un “nessuno muore mai davvero”. Né i Jedi, né lo Skywalker, né Ben Solo – né, per noi terrestri del mondo primario, la stessa Carrie. Il più grande eroe della nostra fallace e macchiata umanità è una persona, e le persone hanno bisogno da sempre e per sempre di veri eroi: il significato profondo di Luke è l’invito a capire i nostri limiti per aiutarci a superarli – per unirci alla Forza.
Capito questo, la Galassia di Umani e Droidi, alieni e creature, accoglie il ritorno dell’uomo che seppe sconfiggere l’Imperatore senza nemmeno alzare una mano su di lui. Quest’uomo, vivo a nebulose di distanza ma vicino in spirito ai suoi amici, riappare nelle sembianze ringiovanite del ricordo. Già immateriale, già lontanissimo, si permette di baciare la fronte della sorella e strizzare l’occhio al vecchio Droide C-3PO… Poi dice a Kylo Ren che sarà sempre con lui, come del resto suo padre. Da un certo punto di vista, è il massimo che Luke può fare per salvare quel ragazzo sofferente: impedirne la solitudine.
Ciò che rimane della Resistenza assiste attonita al leggendario confronto. Finn dimostra la sua maturazione: rinuncia all’egoismo che l’ha perseguitato fin qui e sprona i suoi a non abbandonare chi sta affrontando da solo Camminatori e astronavi. Ma, in una delle scene più importanti del film, è l’inaffidabile Poe Dameron a fare il salto più ardito… Egli, in un lampo di comprensione superiore, viene pervaso dall’energia vivente. Prima intuisce le intenzioni dell’ultimo Jedi, poi elabora una tattica impossibile. “Deve essere pure entrato da qualche parte”, dice, riferendosi a quella che non sa essere solo la proiezione immateriale di Luke Skywalker (che ovviamente non è entrata da nessuna parte). Contro ogni logica e pure contro i calcoli pessimistici del razionale C-3PO, con il permesso della divina e onnisciente Leia, Poe riesce a dare un senso al sacrificio dell’eroe sovrumano. Il pilota si ravvede e si prende sulle spalle la responsabilità del comando, divenendo il “nuovo Mon Mothma”. Viene premiato: gli arriva in aiuto l’altro tipo di essere vivente in contatto istintivo con la Forza, l’animale - le stupende volpi di cristallo mostrano l’uscita dal labirinto sepolto. Il lirismo si eleva di potenza.
Il diversivo di Luke ha funzionato. Mentre la propizia Rey solleva le pietre tombali e permette agli ultimi Resistenti di uscire “a riveder le stelle”, l’esausto eroe su Ahch-To sa che non può né deve dare di più: il dovere dell’ultimo “Jedi progredito” è solamente essere un esempio, evitare il conflitto, permettere che il Bene perduri al di là della sua persona e, soprattutto, saper farsi da parte. Quindi, Luke diviene uno con la Forza e trova la pace.
L’immagine dei due dadi di Han, così sostanziali che Leia e anche Ben sanno tenere in mano pur essendo illusori, sono il sigillo cinematografico che definisce il capolavoro. La proiezione (filmica) nella Forza degli oggettini passa di mano tra i tre dominatori della Terza Trilogia: da Luke a Leia, da Leia a Ben. Luke li ricrea, mostra e mantiene visibili come invito all’auto-analisi. Per la madre sono il ricordo di ciò che è stato, affetto eterno che dovrà conservarsi; per il figlio sono l’avvertimento di ciò che sarà, sofferenza fuggevole che potrà svanire. Grazie all’icona finta di un gioco d’azzardo che la canaglia Han Solo aveva appeso sulla sua fuoriserie truccata Millennium Falcon, l’opera si fa spirituale, portatrice di una speranza estesa a tutti, che sopravvive in un mondo sordo e sconfortato ma incarnata da sofferenti “eletti”. Provenienti, come nelle grandi storie del passato, dai luoghi più umili ed emarginati.
Rudere tra i ruderi, lo Skywalker spezzato e staccato dalla Forza aveva detto a Rey che non sarebbe mai andato ad affrontare da solo l’intero Primo Ordine con una “lasersword” in mano. Lo Skywalker non mente mai: una volta ricostruito e riunito alla Forza, pur andando ad affrontare da solo l’intero Primo Ordine con una “lasersword” in mano… non lo fa. Sa combattere senza combattere. E lo Skywalker, “colui che cammina nel cielo” (senza lasciare impronte rosse sul sale), il più grande eroe di tutti, passerà da vetusta leggenda controvoglia a eterno mito consapevole.
La scintilla che riappiccherà il fuoco della speranza è la sua stella cadente nel cielo. Guarda quella, il ragazzino perduto con al dito l’anello della Ribellione e nel cuore la Forza, dopo che su Canto Bight ha raccontato ai posteri la favola meta-filmica del “Luke Skywalker, Jedi Master”.

 

Gli Ultimi Jedi?...

 

…Sono Luke Skywalker e Yoda, e loro i terribili testi antichi che narrano più di mille generazioni di autenticità ma anche di errori, di virtù ma anche di superbia, di verità ma anche di hūbris. Rey stessa, in possesso dei libri a fine film, rischierà di essere una degli ultimi Jedi.
Queste sono alcune delle vette eccelse, molte ancora tutte da interpretare, che proiettano il film in paradiso. Il salto nell’iperspazio impiegato “alla kamikaze” o le presenze/assenze “proiettate a distanza”; il feroce scontro fisico nella sala del trono di Snoke o il basilare discorso generazionale sui maestri e i loro fallimenti. Il cerchio della vita sembra infinito e dovrebbe far paura, ma ha una meta... il capolavoro a specchio. Per quanto mi riguarda, sono tornato ragazzo e ho il mio Star Wars: la vera Saga delle saghe, la saga dell’umanità; poiché Episodio VIII ne è la cima filosofica.
La riflessione di Yoda e Luke sui propri inevitabili errori come formatori la dovrebbe fare chiunque, su questa Terra. Luke Skywalker, l’eroe più grande, ha fallito nel momento in cui ha imposto la sua autorità. Per questo Rey non è né sarà addestrata: se c’è una cosa evidente in SW, grazie ad Anakin e poi a Luke e Leia, è che l’addestramento (termine più adatto alle bestie del circo) di quei tromboni dei Jedi è estremamente sopravvalutato… anzi, cerco di essere un po’ più chiaro: è una calamità devastante di proporzioni cosmiche. 
La Saga è una grande storia critica nei confronti della figura del “maestro”. Ogni Maestro del Bene fallisce fino al riscatto del più vecchio in Episodio VIII (Yoda, il cui successo chiude la vicenda); ogni Maestro del Male fallisce dopo l’unico allievo tirato su bene in Episodio I (Darth Maul, il cui successo inizia la vicenda). “Gli Ultimi Jedi” di Johnson è lo Star Wars massimo perché, se Episodio IV era in realtà compiuto in se stesso ed Episodio V creava la Saga; Episodio VIII capisce, riassume e proietta la Saga al di là.
Star Wars è George Lucas che, con intuizioni precise nel 1977 e lucidi ragionamenti fin dal 1980, rappresenta la distruzione di un antico e arrogante “uso” della simbolica Forza (Dio, l’Infinito) da parte dei Jedi e il bisogno di tentare di costruire un nuovo tipo di comprensione. L’intera Saga da Episodio I all’VIII è “serve trovare qualcos’altro, perché i Jedi sono finiti come élite auto-nominatasi di eletti dalla Forza” (*). Ciò è la presunzione di Yoda nei Prequel e la superbia di Luke nei Sequel.
La Forza in SW esiste ed è Tutto, è onnicomprensiva. Il “Lato Oscuro” si manifesta allegoricamente solo nelle scelte del singolo mortale che può provare a interpretarla. Forse è proprio questo che sta scritto sugli otto libri originari? Che poi i Jedi, millenni più tardi, hanno perso di vista? Il fatto che Rey abbia preso quei tomi, o che Yoda e Luke glieli abbiano lasciati prendere, può essere allora un bene. La ragazza, rinnovata speranza, potrà rifondare tutto partendo dagli scritti primordiali e dai fallimenti di tutti i maestri successivi. In modo tale da non ripercorrere gli stessi sbagli ma far sorgere qualcosa di nuovo. Sarà questa la sfida. Rey avrà l’arduo compito di saper criticare, setacciare, distinguere, in quei libri, il Mein Kampf dei vecchi Jedi dalle Cronache dei Whill dei Jedi Bendu! Tranquilli, sarà aiutata dai portatori dell’anello: i ragazzi della nuova Ribellione.
Questo film, dal gran ritmo, fa succedere cose nuove. Fa capire che ogni scelta fatta ha le sue conseguenze: azione/reazione. Introduce il concetto dei diversi futuri possibili. È l’evoluzione Disney che adatta, perfettamente, l’epica classica degli anni Settanta dello scorso millennio agli anni Dieci del millennio in corso. I Sequel della Kennedy in primo luogo esplorano l’impianto originale di Lucas, per poi sublimarlo in un’azione creativa inclusiva ed espandente. 
Ora, Episodio IX dovrà concentrarsi su Ben e Rey (l’azione dei due poli di ciò che i Jedi e i Sith non guardavano, ossia la “Forza Cruda”); per tirare definitivamente le fila delle due Trilogie precedenti: l’una concentrata più su Anakin Skywalker (l’azione di ciò che i Jedi e i Sith chiamavano erroneamente il “Lato Oscuro della Forza”), l’altra più su Luke Skywalker (l’azione di ciò che i Jedi e i Sith chiamavano erroneamente il “Lato Luminoso della Forza”). Prepariamoci dunque a nuove, entusiasmanti divisioni nel Fandom più smisurato della Galassia.
Una possibile fine dell’ultimo Episodio della Terza Trilogia? L’incredibile Kylo Ren si immolerà per distruggere con sé il “Mein Kampf” di Star Wars e lasciare a Rey, finalmente, solo le “Cronache dei Whill”; affinché ella sappia forgiarsi il proprio destino con le benigne scoperte dei giganti del passato, senza più il peso dei loro sconfinati errori.
Una possibile fine della Saga? Che la Forza non si riveli più. La Saga delle saghe potrà finire quando la Forza non si manifesterà più nella Galassia simbolica - come succede del resto nel nostro universo primario. Quando i suoi meravigliosi guerrieri stellari non avranno più bisogno di miracoli per capire ciò che è giusto e distinguerlo da ciò che è sbagliato. Come succede a noi terrestri, persi e forse dimenticati in questo povero angolo di spazio.
Persi, dimenticati… ma fortunati: abbiamo Star Wars.

 

Fine parte 2 (di 2) - inizia qui, nella parte 1

Vai al mio libro "Tutte le Guerre Stellari" sulla saga completa di Star Wars, scritto dall’inverno 2019 all'estate 2020 ed edito da Runa, Padova, il 3 settembre 2020.

Vai al libro mio e di Paolo Gulisano su Star Wars "La Forza sia con voi", scritto dall’estate del 2016 al maggio 2017 ed edito da Áncora, Milano, il 5 ottobre 2017.

Grazie a: Salvatore Salis, Alberto Quagliaroli, Walter Piva, Gian Domenico D’Amoja, Diego Mormile, Cristiana Smorgon, Liza Inverse, Matteo Brescianini, Riccardo Zarli, Emily Asher-Perrin, Paolo Gulisano

Articolo pubblicato in originale il 9 gennaio 2018 su Living Force Magazine online #49, la fanzine riservata ai Soci di Yavin 4, il fan club italiano di Star Wars, del Fantastico e della Fantascienza

 

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