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L'Uomo d'Acciaio

Disegno di Filippo Rossi Jedifil: Superman in Man of Steel di Zack Snyder Fantastico Fantascienza

Man of steel, alias il Superuomo

anni zero

analisi di Filippo "Jedifil" Rossi, scritta nell'estate del 2013

S come Scandalo. S come Sorpresa. S come Settantotto (forever). S come Steel…

Visto e rivisto e stravisto il visionario ma difficile, ritmico ma impegnativo, commosso ma impacciato film profetico di Zack Snyder sul personaggio (una volta, tanto tempo fa e apparentemente) più elementare del Super-fumetto americano: Superman.

 

UN SUPERFILM? - Intro sul pazzo del cinema americano

 

Sì. Certo. L’ammetto. Mea culpa. Ci sono e rimangono alcune, addirittura ovvie, perplessità per certe cadute di trama. È vero: Clark toglie il lavoro a un camionista e dove passa scatena casini manco fosse un menagramo; Lois porta il tacco 12 metropolitano dalla sabbia del deserto fino al metallo a-periodico dell’astronave e ritorno; la proiezione “vivente” di Jor-El sembra un direttore d’orchestra mentre apre e chiude porte a gesti; cadono piani su piani di grattacieli ma alla fine il Daily Planet ha la telescrivente che funziona.

Detto tutto questo e pure di più, sono davvero azzeccati il coraggio, la potenza della scrittura e dell'apparato visuale, non ultimo l'omaggio al difficilissimo personaggio. Il film incredibilmente macina terreno, sorpassa in curva e taglia il traguardo facendo il gesto dell’ombrello ai superati pur presentando cose “strane”, funziona ed era oggettivamente molto difficile farlo funzionare. Non ci sono mai cadute di storia né di tono: entrambi rimangono perfettamente credibili, solenni e seri per tutta la durata.

Zack Snyder è, rimane e spero resterà per sempre un regista controverso. Eufemismo, visto che è secondo me un pazzo scatenato. Ha fatto tutti filmoni estremi toccando temi intoccabili; che ho tutti profondamente amato proprio per la loro sfrenata temerarietà, nella mia pazzia a lui affine… Dal remake adrenalinico degli Zombi corridori ex-Romero, ovviamente odiato dai Romeriani con la R maiuscola, al “300” fintissimo, fisicato e pseudo-reazionario, ovviamente odiato dai Radical Chic tutto maiuscolo; dal “Watchmen” supposta “bestemmia” del fumetto d’autore british, ovviamente odiato dai Mooriani con la M maiuscola; al “Sucker Punch” spietato femminista eppure incompreso, ridicolizzato e sottovalutato, ovviamente odiato dagli Esimi Cinefili tutto maiuscolo. C’era da scommettere un centone che la sua rilettura post-moderna post-settantotto post-Avengers post-tutto, terminale, urgentissima e sfrontata di un mito popolare del passato remoto come Superman facesse vittime, dividesse il pubblico e terremotasse un intero Fandom.

Di solito, queste ventate di energia incontrollata sono benigne. Tornadi che fanno dolorosa piazza pulita di puzze, rozzezze e rottami.

 

LA SUPERSTORIA – Ovvero: come sventrare un pianeta ma salvarne il Prescelto

 

La favola di David S. Goyer & Christopher Nolan è (torna a essere, da canone supermaniano) pura e semplice Fantascienza; qui moderna e bellissima Space-opera, come mai prima d’ora: basata sulle modifiche genetiche artificiali per “ordinare e controllare” una civiltà planetaria spaziale altrimenti evolutasi in senso interstellare; concetto in sé terribile, che giunge a essere castrante per l’intera razza pseudo-umana (tutto e tutti vi rimangono intrappolati, compresi lo stesso organismo planetario Krypton e lo stesso scienziato “buono” Jor-El). Da qui, collegato a questo concetto originario, parte ogni elemento narrativo dello script - dalla definizione non solo caratteriale dei villain esuli kryptoniani; fino alla facilità, comodità d’uso della tecnologia kryptoniana. L’intero “apparato alieno” del film è in superficie, in apparenza potentissimo; i suoi canyon rugosi e i suoi padiglioni altissimi nascondono però oscurità di debolezza: nel profondo Krypton è debole perché preordinato, limitato e soprattutto semplificato, normalizzato da parte di un’élite corrotta che, quando non è ignava, è animalmente aggressiva. Come vespe incazzate. Basta infine un po' di fantasia, di anarchia creativa umana (che il “kryptonian-terrestre” Kal-El possiede e può usare) per mandare l’apparato a monte - il vero problema morale diventa allora: è legittimo mandarlo a monte?

La storia è alla base di tutto. L’ascesa e la caduta galattica di Krypton, e le sue conseguenze terrestri grazie al suo ultimo “figlio”, esule ed erede (in ogni senso, proprio nella carne e nel sangue). Molto interessante e coinvolgente, così tanto che rischia di fagocitare il comunque buon sviluppo narrativo delle oltre due ore di film. La storia amplia tantissimo – troppo? - le possibilità concettuali ma allo stesso tempo pone paletti che limitano la necessità di approfondimento all’interno di un puro Action Sci-fi ad alto budget come questo. Insomma, forse c’è troppa ambizione… ma come si fa a criticare l’ambizione nel piatto cinema spettacolare e mainstream di oggi? Il fatto è che l’ambizione si deve accompagnare all’umiltà nella sintesi di scrittura, e qui certo ne serviva un po’ di più… serviva del controllo nel riordinare una materia tanto vasta.

Come semplice fulcro emotivo di questo complicat(issim)o “Man of Steel” c’è solo lui: l’eroe (super) titolare Kal/Clark/Uomo d’Acciaio (o, come genialmente iniziano a chiamarlo tutti emozionati gli umani che salva – Lois e i militari USA: il “Superman”). La trama è sviluppata dando sempre attenzione e importanza a lui: ad esempio, i flashback (tanto curatissimi quanto continui e regolari) sono intesi in questo senso personale - intimista. Per farci entrare in empatia esclusiva con il protagonista; per escludere la confusione di un mondo troppo grande, che strepita e rumoreggia, e farci capire la sua situazione intima, le sue possibilità intime, i suoi limiti intimi e le sue scelte intime. E questa è l’idea quasi minimale alla base del tono generale del film kolossal; ma, siccome si è (ri)pensato a questo personaggio centrale in modo a nostro parere inedito, in modo che debba esercitare il continuo e perfetto controllo di sé nel tentativo di trattenersi (rischiando la frustrazione, un po’ come il Prescelto dalla Forza Anakin Skywalker di Hayden Christensen), tutta l’opera cinematografica che lo ritrae rischia più volte la trattenuta freddezza. E risulta nel complesso… freddina. E’ bravo allora il raffinato attore principale, l’inglese (non a caso: è il primo non-americano a interpretare Superman) Henry Cavill, a trasmettere comunque, tra le righe, umanità ed emozioni… Fedelmente alla linea dell’imperturbabilità, gli basta più volte anche solo un mezzo sorriso.

In ogni caso questa freddezza dovuta al controllo è voluta, intesa a tavolino anche per scatenare il calore della perdita di controllo nel finale.

  

LA SUPERCIVILTÀ – This… is… Krypton!

 

Abbiamo la civiltà kryptoniana, antica e potente, che si espande benignamente nello spazio. Grazie al viaggio interstellare, l’entrata e l’uscita attraverso una sorta di buco nero gravitazionale, è in grado di lasciare il pianeta originale Krypton e “terraformare” (kryptonformare) gli altri pianeti nella sua energetica colonizzazione/fusione con altri habitat (e forse popoli). E’ l’evoluzione, baby!, visto che casa-Krypton evidentemente non basta più. Poi, a un certo punto (che mi pare però non essere adeguatamente sviluppato), l’espansione (l’evoluzione) termina: possiamo presumere che problemi di stabilità sociale portano alla necessità di controllo totale, orrendamente dittatoriale e reazionario, delle nascite. Tipo la Sparta di “300” o certe dittature assolute che vanno dalle nostre Storiche ai letterari Grandi Fratelli orwelliani… E qui facciamo notare, nella splendida sequenza della narrazione del “tecno-bio-fantasma” di Jor-El al figlio Kal, l’estrema poesia destabilizzatrice della metallica rappresentazione visiva “futurista” di una storia aliena, fin troppo simile a certe aberrazioni Storiche del secolo scorso terrestre!

Serve l’ordine su Krypton, e allora l’ordine è ottenuto dando ruoli sociali, “lignaggi”, rigidamente predefiniti (da chi?) a ciascuno. Ruoli ai quali non si può ambire e dai quali non è possibile fuggire: uno deve essere soldato (protettore del popolo), l’altro deve essere scienziato (sviluppatore), un altro ancora deve essere operaio (costruttore), quell’altro deve essere politico (amministratore), ecc. Lasciando a ciascuno la coscienza e l’intelligenza personale - beffa estrema, per chi le usa… Ma togliendo il libero arbitrio e la fantasia, o l’anarchia, creatrice. Eliminando la possibilità di reinventarsi uno scopo autonomo nella vita. Evirando la volontà/necessità di affrontare l’altro e fondersi con l’esterno. Questa dannazione, in uno sviluppo concettuale da brividi, àncora i kryptoniani alla loro società chiusa, e non solo: addirittura al loro pianeta natale. Ci si chiude in casa, come sotto assedio zombesco, e si tira su un bel muro di mattoni. L’espansione, allora, termina: le colonie, kryptonformate o meno, vengono abbandonate, compresi i cittadini coloni sfigati e cordialmente mummificati; i kryptoniani si rifugiano nella loro casetta, alla quale si aggrappano e la quale viene senza tante smancerie rinsecchita, esaurita, prosciugata. Un sistema naturale distrutto, che poi si incazza e si ribella. Involuzione di una civiltà che porta alla catastrofe ecologica.

Ecco, se si mette Terra 2013 al posto di Krypton tutto questo suona come geniale Fantascienza ammonitrice.

  

IL SUPERCATTIVO – Colui che deve fare ciò che deve fare. E più non dimandare

 

Il colpo di mano dell’innaturale Generale Zod, con la sua amante mancata Faora e i suoi amici mancati commilitoni, è un colpo di coda disperato e inutile, ma rivelatorio che è arrivata la fine di un intero concetto di società (non solo, di un’intera civiltà; anzi no, addirittura questa fine è direttamente collegata al termine del ciclo naturale di un sistema pianeta!). Il colpo di coda è puramente militare – di una persona che usa l’intelligenza ma è limitato dal suo essere solo un ruolo sociale. Come del resto, specularmente ma esattamente, sono a modo loro gli scienziati Jor-El e Lara... Ormai i kryptoniani sono tutti uguali, nella caduta finale. Si può addirittura presumere che Zod cerchi inconsciamente l’esilio, per salvare la kryptonità: in effetti lui, come tutti i kryptoniani, non può scegliere la fuga, visto che deve proteggere (oppure ordinare, gestire, costruire, ecc a seconda del lignaggio) la sua gente! Nessuno laggiù poteva scegliere la fuga, essendo tutti programmati a preservare quel preciso, unico modo di vita.

Ovvio che questo porta alla creazione di un personaggio, il Generale Zod, il cui senso di tragica, disumana e dannata disperazione mette i brividi. Fino alla fine, è evidente che Zod pensa con intelligenza e ha profonde pulsioni inconsce, ma non può non fare quello che è geneticamente programmato a fare… proteggere a ogni costo l’unico concetto vitale e civile che è in grado di conoscere e capire. Diventa simbolo perfetto, come e più di Jor-El e di ogni kryptoniano (eccetto l’eroe Kal figlio di El), del fallimento epocale di un’intera civiltà… della sua autodistruzione suicida. E infatti, alla fine del film, Zod praticamente si suicida – o meglio, agevola il proprio suicidio, visto che non può compiere nemmeno questa Scelta estrema! Questa è la tragedia somma, inarrivabile dell’assenza di libero arbitrio.

La stessa pazzesca, potentissima tecnologia kryptoniana, che permette di viaggiare nelle stelle e imporre la kryptonformazione/assimilazione dei pianeti, è diventata un tragico guscio vuoto: è comprensibile, gestibile e controllabile da chiunque, anche dai giovani terrestri fragili ma autodeterminati. La kryptonità di questo film è debole, debolissima, filosoficamente fragilissima tanto che, per sua auto-conformazione suicida, basta la piccola terrestre Lois a smanettarla e sabotarla dall'interno (se non si accetta questo, non si accetta allora nulla del film). Kal lo capisce, del resto lui è l’uomo Clark: è giusto che però il figlio dei due mondi rimanga testimone doloroso del peggio di uno e del meglio dell’altro… E’ altresì giusto che sia l’umana donna Lois a divenire basilare nel cortocircuitare un sistema non solo marcio, ma cancerogeno visto che ne è sopravvissuta non a caso solo la parte aggressiva, virale (Zod e i militari esiliati). L’umanità sarà giovane e sciocca quanto si vuole ma è ancora sana… Anche se non si sa ancora per quanto.

Ecco il vero ruolo “cristologico/messianico” di questo Superman 2013: monito di dannazione e messaggero di salvezza. E le pesanti letture fantascientifiche, come nella migliore Fantascienza, diventano eleganti suggestioni spirituali.

  

I SUPERPADRI – Dal divino Jor all’umano Jon

 

Nel frattempo siamo giunti sulla Terra e abbiamo incontrato uno dei personaggi più complessi (e forse meno compresi) del film. Il Jonathan Kent di Kevin Costner; alias il secondo padre del protagonista, dopo un Jor-El fin troppo gladiatorio quanto fin troppo kenobiano, con tutti i difetti e pregi di visione kenobi-centrica del buon vecchio Ben. La paura del terrestre Jonathan è che se Clark usa i superpoteri alieni (“innaturali” in quanto legati alla natura altra dell’alienità, e quindi miracolosi, in ultima analisi perfettamente religiosi) troppo presto e senza adeguata preparazione (non solo sua, quanto soprattutto del mondo che, nella chiara intuizione del semplice pa’ Kent, rimane più fragile di Clark) c'è il rischio che lo prendano tutti per un miracolato dispensatore di miracoli - vedere la reazione spiritata, francamente fastidiosa della mamma del piccolo Pete Ross dopo la sequenza dell’autobus scolastico. Che rimane l’unico gesto supereroico di Clark che ci è dato conoscere per i 33 anni della sua vita. Tutto ciò è in effetti ben noto a tutti, visto il mondo in cui viviamo; soprattutto a noi italiani, tra pulsioni pseudo-religiose irrazionali e ultra-spirituali; ed è evidente anche da questo problematico pensiero la portata coraggiosissima della lettura supermaniana in questo film!

Invece, il solido e buon Kevin "Jonathan Kent" Costner non elargisce a piene mani risposte certe che non può conoscere. Fa professione di umiltà. Del resto rimane, da canone, un padre semplice e americanissimo (legittimamente "ignorantone", un tizio del profondo Kansas terra terra tipo lo zio Owen su Tatooine, come piace a me!) che non sa proprio come affrontare qualcosa di più grande di lui. Lavora la terra, produce cibo e tanto basta. Con quel tanto criticato "può darsi", alla domanda disperata del piccolo Clark se per mantenere il suo pericoloso segreto dovrà lasciar morire le persone in pericolo intorno a lui - che è un “forse” e non un “no!” - dimostra del sanissimo dubbio. L’umiltà del non saper che fare, senza vergognarsi di doverlo ammettere. In un mondo in cui tutti, da Zod in su o da Jor-El in giù, hanno le idee sempre troppo, troppo chiare. Il magnifico, mitico sacrificio del padre adottivo (pur formalmente non riuscitissimo) è legato a questo: un sacrificio, appunto, per umiltà e per darne l'esempio. Nel nome della pazienza e della modestia. Anche un Superman, come il padre “man”, dovrà essere umile, paziente e modesto. Non dovrà voler fare tutto, non è nel suo ruolo e comunque umanamente non si può. Nel suo potere c’è solo il dare l’esempio, che è sempre una questione di umiltà.

  

IL SUPERUOMO – Cavill-El, Cavill Kent, il Cavill d’Acciaio, SuperCavill

 

In questo contesto, più che mai, il protagonista è l’elemento decisivo dell’intera pellicola; oltre tutto un ruolo che ha già storicamente bruciato diversi elevati pretendenti. Siamo arrivati a Henry Cavill, che si dimostra senza alcun dubbio possibile adatto a incarnare il primo Supereroe. In ogni caso il suo è un Uomo d'Acciaio, un Clark, un Kal, no: il “Superman” coinvolgente, maturo e intenso. Simpatico e sveglio. Questo Man of Steel vagabondo, sbrindellato e senza maglietta non è, come va di moda nel peggio del peggio reale, “a sua insaputa”: lui sa tutto quanto può fare fin dall'inizio e sa benissimo cosa fare senza alcun dubbio. È un vero eroe consapevole; altro che il Bruce Wayne sbandato di inizio “Batman Begins”. Non è un Superboy, come troppo spesso succedeva in altre letture trendy; è proprio un “man”: maturo, carismatico e silenzioso in senso eastwoodiano, quando un silenzio vale mille parole. L’attore tiene sulle spalle non solo il destino (incredibile) di Krypton, ma tutto il filmone. Riesce ad essere davvero nuovo, sinceramente ed estremamente diverso dal “perfetto” Christopher Reeve (Cavill diventa la punta dell’iceberg in un impianto filmico fino ai minimi dettagli diverso dall’epocale film del 1978). E riesce a farci amare la sua difficile, complessa storia. Gli abbiamo voluto davvero bene!

La morte per scelta è forse l’unica tutela per il segreto di Kal, come insegna Jonathan Kent con un atto che ricade inevitabilmente sul padre adottivo ma, anche e soprattutto, sul figlio. Ed è l’atto mortale che in seguito Kal dovrà usare come se non unica, necessaria soluzione a un problema ben più grave: lo scatenarsi nel serraglio umano dell’ultra-umano mietitore di vite, Zod. Gli eroi non uccidono? No… Gli eroi salvano vite, costi quel che costi. Cercano disperatamente di scongiurare il male e il dolore, ma la morte rimane comunque una soluzione – l’ultima. Nel segno dell’Unico Enigma Eterno: vale la pena salvare i molti sacrificando i pochi? Dopo il gesto estremo, simbolico, il Supereroe si dispera per vari motivi, tutti così umani: non ultimo il fatto che nella morte egli scopre l’unico punto debole. Altro che Kryptonite. La mortalità della condizione umana, fragile come una spiga di grano, è l’unica cosa contro cui l’alieno figlio di fattori non potrà mai lottare. E la speranza della “S” kryptoniana dov’è allora, nello squallore disperato della strage finale? Il contatto di un uomo con l’umanità; il contatto che un “man” (non un “boy”) deve avere con l’Altro, con l’esterno da sé; che qui è la “woman” Lois Lane. Si tratta dell’amore, speranza estrema che, se il povero Zod non comprendeva, non sospettava nemmeno, invece tutto sublima e tutto spiega. In ogni universo.

Ma perché poi limitare la tragica scelta estrema al solo destino dell’antagonista? In precedenza succede qualcosa di ancora più sconvolgente. Michael “Zod” Shannon dice a SuperCavill che distruggendo la nave esploratrice, e con essa i pod della Camera della Vita, condannerà “a morte” tutto il suo ex-popolo; la risposta, di getto, è “Krypton ha avuto la sua occasione”. Ci pare una cosa pazzesca. Enorme. Altro che protettore dell’umanità... Questo Superman per difendere l’umanità sacrifica tutto – “tutto se stesso”. Tutto quello che è stato, è e sarà. Praticamente fa il contrario di quello che aveva fatto per sei anni l’ipersensibile Superman di Singer & Routh in “Returns”! Si parla comunque “solo” delle capsule per far rinascere artificialmente una popolazione corrotta e già defunta, mantenendo così i suoi limiti innaturali di programmazione genetica; trattasi lo stesso di una scelta (scelta) pazzesca da parte del più grande degli eroi, fatta fin già nella sua giovinezza eroica.

Tutto ciò, in questo tipo di personaggio, non potrà non avere conseguenze. Nel contesto del film sono ancora più evidenti certe prese di posizione narrative, tipo l’incoscienza civile di un dio in combattimento tra i mortali. Si tratta di un percorso di maturazione appena iniziato, con le ordalie, gli errori, le scelte; tutte le fasi ben precise. Notiamo che nei pochi giorni di presente filmico, il titolare Uomo d’Acciaio non si è mai presentato come Superman al mondo. Non l’ha mai inteso fare; infatti, dopo aver convinto Lois nella necessità del segreto, lui torna e sarebbe rimasto alla fattoria della madre adottiva a fare ciò di materiale che il padre adottivo gli aveva consigliato: cibo per la gente. Aveva ottenuto l’unico obiettivo che si era prefisso: conoscere la sua origine. Tanto basta. La risposta è che il mondo terrestre, e soprattutto lui stesso come alieno terrestre, non sono evidentemente pronti - se è questa la domanda che lo spettatore è portato a porsi! Inutile vantarsi: non siamo pronti… E la prova l’abbiamo subito dopo. Plastica e concreta, un folle colpo allo stomaco alla Snyder. Quanto di “super” (gesta distruttive) avviene dopo è dovuto unicamente a una reazione istintiva di sopravvivenza per l’apparizione aggressiva e violenta del virus consanguineo Zod. Una reazione bestiale per “salvarsi il culo” che porta a un finale a suo modo amaro, nel quale – ovviamente! - nessun terrestre si può fidare di un Superuomo di tale portata.

Solo la Lane del Daily Planet era, è e rimane saldamente al suo fianco.

  

LE SUPERDONNE – Quando si dice il cuore del film…

 

Ed ecco a voi, signore e signori, miss Lois Lane di Amy Adams e il massacro critico cui viene sottoposta. Invece, a mio parere un personaggio straordinario, che ho già citato come indispensabile ed evidente tramite umano tra l’eroe sovrumano e il nostro umanissimo mondo antieroico. Un personaggio femminile magnifico, che nella scena centrale del film, sulla tomba del filo-segreto Jonathan Kent, si rivela come molto di più di un inutile orpello e/o un inevitabile strumento “action-hot” da kolossal. Qui capisce lei e capiamo tutti, finalmente e con chiarezza nell’esposizione rigorosa di Cavill, la tragedia basilare dell’assenza di fiducia nel superuomo alieno Kal, che non può accettare le smanie d’ansia di salvezza di un intero popolo immaturo. E l’eroina matura fa l’atto di fede, del quale l’eroe aveva un così disperato bisogno. In quel preciso, perfetto momento l’Uomo d’Acciaio Clark lascia il Kal e diviene il Superman, solo grazie a Lois. Una giornalista rampante che si ferma dallo spiattellare la sua identità di sé (ed esistenza in sé), non gli brucia l'unica autodifesa della segretezza; e gli fa anche una bella lezione morale - “L’unico modo per non rivelarti sarebbe non aiutare la gente, e uno come te non può non aiutare la gente!”: in una frase ecco l’essenza supereroica del primo Supereroe. E così questo ambizioso, spietato Premio Pulitzer (simbolo metaforico di “potenza giornalistica mondiale”, in un’epoca in cui buona parte dei problemi globali sono a causa dei giornalisti o pseudo-giornalisti che sparano notizie arroganti a caso nell’anarchia pericolosissima di internet) fa il salto morale, cambia il film e non sputtana il Superman a un mondo che non è pronto per un Superman. Compie il suo gesto eroico principale dell’opera per empatia umana, umiltà e senso di speranza. L’amante (similmente alla speculare antagonista femminile, la tremenda Faora di Antje Traue) chiude il cerchio perfetto delle due madri del film, l’elegante Ayelet “Lara” Zurer e la contadina Diane “Martha” Lane, che a mio parere sono ancora più potenti dei due padri premi Oscar.

Del resto, tutto torna: nel super-film di Snyder ogni personaggio femminile è fortissimo, più che solo materno proprio seminale e fondamentale. L’incipit stesso nella primissima inquadratura, come del resto ogni sequenza con protagonista Lara, è generoso nel regalarci con immediatezza e chiarezza questo splendido e modernissimo concetto. Pure uno dei momenti musicalmente più indimenticabili del kolossal è in questo senso: il regista, profondamente femminista da sempre, si commuove e ci fa commuovere per uno Stradivario del 1720 in mano a una magistrale violinista, che da par suo – femminile al 100% - commenta la fine di una civiltà extraterrestre e una madre condannata che salva il suo unico figlio. Casualmente maschio.

  

UN SUPERGENERE – Flash Gordon di Krypton

 

Per una volta si fa vera e coraggiosa Space-opera. Una Fantascienza seria, selvaggia nelle sue esagerazioni concettuali e visive, alienamente “bigger than (human) life”; con shock allucinati fusi a eleganti, sottili, mai invasive venature ironiche; per di più basandosi su un’icona intoccabile dell’immaginario, rivoltandola come un calzino. Come faceva Peter Jackson con i suoi invasori extraterrestri: mettendo una mano in gola alla creazione datata 1938 di Siegel & Shuster, afferrandole la fine dell’intestino e tirando fuori tutto: rimane lo stesso personaggio, seppure… sotto altri tipi di riflettori.

Questo “Man of Steel” è in gran parte proprio quello che non è stato il nuovo Star Wars nei Prequel 1999/2005! Un esempio tra i tanti possibili: il rettilone volante di Jor-El è Space-opera tanto quanto lo erano l’altro ieri i fiabeschi Ikran di “Avatar”. Come sarebbero i Vermi delle Sabbie in “Dune”. Come riusciva ad essere il Tauntaun di Episodio V, 1980. Come tentava di essere il Boga di Kenobi in Episodio III, 2005. Ed è Space-opera fatta stavolta bene (a differenza della maggior parte della Nuova Trilogia Prequel di Star Wars), proprio come un Dianoga con il periscopio nelle fogne 1977 della prima Morte Nera... Del resto accettiamo che Lois inserisca la chiave kryptoniana di Kal in ogni presa aliena che le capita intorno con la stessa facilità con la quale il buon vecchio C1-P8 si connetteva con la sua chela droide nel cuore dello stesso dell’Impero iper-tecnologico; portando oltre il parallelo, come nella Trilogia Classica di Guerre Stellari anche qui è la combinazione istintiva e caciarona intuito/fegato che batte dall’interno un’apparentemente imbattibile e rigorosa armata militare, tanto super-scientifica quanto innaturale. Puro “Flash Gordon” di Alex Raymond in versione super-kolossal 2013, citando una immaginifica creazione Sci-fi a fumetti diretta e vicina progenitrice dell’ultimo figlio di Krypton.

Il giorno che sapremo (ri)vedere, riconoscere e amare la poesia di queste cose nel profondo assurde al cinema, quando fatte così bene, sarà il giorno che ritroveremo il tanto sospirato “sguardo di Guerre Stellari”. Uno dei pregi di questo Uomo d'Acciaio, pur con i suoi difetti, è riuscire più volte (non certo "sempre" come allora nel ‘77, ma più volte!) a trasmettere l'ironia sognante della Space-opera Science-fiction del vecchio George Lucas. Vedi ma' Kent che dice "che bel costume" a suo figlio... momento magico. Stellare come quando l’imponente Generale Grievous affrontava Anakin dicendo che se lo aspettava più alto; o l’enorme Darth Vader osservava assorto la manifattura cromata della spada laser del figlio. È sempre una questione di punti di vista, come diceva Obi-Wan “Ben” Kenobi: aggiungendo a questo ardito impianto scientifico-sognante il personaggio datatissimo di Superman diventa un eccezionale film di Fantascienza. Le tante idee e trovate interessanti, in questo contesto riconoscibile, sono, come dire, trionfanti.

  

IL SUPERFILM! – Epilogo sulla pazzia del kolossal americano

 

I dubbi di trama, l’indubbio “già visto” grafico, la freddezza dubitante di racconto… tutte cose vere, ma che non sono in grado nemmeno per un secondo di spaccarmi la visione di un film di questa levatura. “Man of Steel” non è facile, né diretto, né chiaro. Ha bisogno, come dice metafilmicamente e coscientemente di sé lo stesso protagonista, di un “atto di fede”… Questo è un pregio. Anche perché è concetto profondo legato in profondità a uno dei temi base del film: dimostrare fiducia/fede per ottenere fiducia/fede. Ciò lo si fa per pura generosità che, questa sì, è davvero un atto e un concetto superumano. Se ci si lascia andare e ci si fa trascinare dalla sua logica interna, elevata alla potenza Space-opera (forse la Fantascienza più vicina all’Epica), il film svela i suoi misteri dolorosi e si fa veramente generoso; la sua generosità è totale, allora, lo è fino in fondo, eroicamente perché così scopre il fianco a critiche dirette che possono arrivare al furente. Si espone fino al possibile sacrificio… come tutti i profeti di una rivoluzione!

Io non grido al capolavoro, quello sarà il sempre più probabile Man of Steel 2 di Zack; per questo super-film 1 c’erano troppi ostacoli (che si vedono anche oggi, nelle reazioni di odio puro di alcuni spettatori) per fare un “film capolavoro”. È già tanto che questo Superman 2013 funzioni… Purtroppo nel mondo reale va di moda fracassare la testa al visionario e coraggioso Snyder a prescindere; e/o distruggere qualsiasi Man of Steel che non sia il povero Christopher Reeve (che, detta papale papale, ammazzava un Zod sconfitto e senza superpoteri buttandolo giù nelle fondamenta dell'Artico).

Concludo dicendo che questo Uomo d’Acciaio “vero” è uno di noi. È meglio di noi. Vaga tra noi e si mimetizza tra noi, perché ci conosce meglio di noi stessi. Temuto e rifiutato sia dai resti corrotti del suo ex-popolo che dai giovani e paurosi terrestri conterranei (eccetto due fenomenali donne); ma per noi non teme nel dare tutto. Costretto a recidere i suoi legami alieni per amore incondizionato verso la Terra e i suoi abitanti; ma per gli “altri dall’altrove” piange come un bambino. Può essere ammanettato, umiliato e ferito addirittura da chi è meno “super” di lui; anche se lui potrebbe sconfiggere chiunque, pure chi è “super” come lui, in un secondo. Soffre nel cuore e nel fisico – anche graficamente, vedi la deformazione della faccia quando emette calore dagli occhi – sia mentre non esercita sia quando usa i suoi fatati superpoteri.

Ma è Superman comunque, pur romantico, imperfetto e fracassone.

Perché è un eroe… come Zack Snyder.

Articolo pubblicato su Living Force Magazine #39, Yavin 4, estate 2013

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