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Indiana Jones

Disegno di Filippo Rossi Jedifil: Indiana Jones

analisi di Filippo "Jedifil" Rossi, scritta il 29 giugno 2023

Indiana Jones è morto nel 1981, lunga vita a Indiana Jones!

La saga di Indiana Jones, dopo la visione (NO SPOILER!) dell'episodio V Il Quadrante del Destino

Siccome io al tipo che ho disegnato in apertura ci tengo (fin dalla prima visione nel 1981 a dieci anni), non posso limitarmi a stroncare l'ennesimo film a lui dedicato che mi delude molto, ma sono obbligato ad approfondire.

L'unico film dei cinque su Indiana Jones che trovo "Capolavoro Indiscutibile", a prescindere dalle evidenti e storicizzate scopiazzature (che mi interessano zero – tutti i capolavori copiano qualcosa da capolavori precedenti), è il primo, appunto del 1981: “I predatori dell'Arca perduta”.
Tutti gli altri film li amo, non posso negarlo, ma o mi hanno fatto schifo o non mi sono mai piaciuti tanto. Nemmeno “Indiana Jones e l'ultima Crociata”, leggendario e amatissimo cult, terzo episodio del 1989, che per me funziona con il papà dell'eroe interpretato da un magnifico Sean Connery e con l'idea di Cerca medievale, ma ha una storia semplificata, poco intreccio, ambiente e personaggi ripetuti, finale deludente e molta atmosfera in meno del primo episodio – nonostante introduca l'oggetto più affascinante di tutti, il Santo Graal!

Strano, no?

Quelli che hanno fatto i Predatori non sono degli idioti!
 

Perché questo giudizio tranchant sulla saga e, al contrario, l'adorazione incondizionata del solo primo episodio?

Verissimo: nel primo, il regista Steven Spielberg aveva una mano coreografica miracolosa, che praticamente non si è più vista: tutti i giochi action e slapstick di tipo "domino" (un guaio tira l'altro, in crescendo) legati al millimetro agli ambienti scenografici e/o agli oggetti di arredamento, già amati nel 1979 del magnifico “1941 – Allarme a Hollywood”, nei Predatori sono moltiplicati per 100, variati in continuazione senza stancare mai, anzi, erano sempre più divertenti, ritmati e geniali (dalla pietra rotolante al caminetto nepalese, al pozzo di serpenti, all'aereo a terra che gira in tondo, alla carovana di mezzi e chi più ne ha)! Poi… verissimo che l'autore e produttore George Lucas era ancora sincero, nello scavare nei ricordi di bambino ed esporli senza pudore, come appena fatto in Guerre Stellari 1977. Verissimo anche c'era un giovane e dotatissimo scrittore, Lawrence Kasdan, che era in formissima e si poneva domande critiche sulla sceneggiatura, sfornando dialoghi fulminanti. Verissimo infine che il basilare montaggio di Michael Kahn (premiato con l'Oscar) è ancora oggi ipnotico, ci porta da luogo a luogo senza alcun rigore, non con una precisa pianificazione a tavolino ma secondo istinto: in Egitto ci restano per metà film a scavare, mentre in Nepal o sull'isoletta nel Mediterraneo ci si arriva dal nulla e ci si sta poco, lasciandoci una sensazione quasi subliminale.
Ma non basta questo.

Il trucco vincente del primo film, mai più ripetuto nei successivi, era nel titolo


Perché il primo episodio si intitola solo così: “I predatori dell'Arca perduta”. Senza nomignoli, al plurale, generico e negativo. Predatori, come dei figli di puttana razziatori di tombe. Già quel magnifico e fondamentale titolo dava zero importanza all'eroe e toglieva l'eroismo al protagonista.

L'unica, triste verità è che subito dopo, nel secondo episodio del 1984 “Indiana Jones e il tempio maledetto” (in tutti i sensi!), si inizia a sopravvalutare proprio Indiana Jones. Che è un protagonista divertente e bizzarro, ok, ma senza veri eroismi, che anzi era (lo è solo nel primo!) e dovrebbe sempre essere un perdente, perché resta un farabutto piuttosto ambiguo, egoista nell'animo. Proprio come il precedente Han Solo di Star Wars. L'interprete delle due figure lucasiane, Harrison Ford, dà sempre il meglio con protagonisti cialtroni e anonimi, uomini comuni presi controvoglia in cose più grandi di loro e che quindi sono costretti ad arrangiarsi facendo conto solo sulla fortuna… e mossi da motivazioni tutt'altro che nobili. Indiana Jones ha solo studiato un po' di più di Han Solo, ma come lui resta un tipastro che si riempie solo la bocca di etica e di morale – per il primo, musei e università. In realtà gliene frega zero, sono solo tristi tic nevrotici; lui è come la sua nemesi, l'altro archeologo mercenario René Émile Belloq! Un predatore.
Bellissimo! Indiana Jones (mai, mai l'osceno “Indy”!) diventa immortale nella connessione negativa con il rivale francese Belloq del grande Paul Freeman, il quale lo sa benissimo e ne approfitta in continuazione, e lo anticipa annullandone qualsiasi sforzo.

Nel disegno, ho interpretato la primissima apparizione di un grandissimo figlio di puttana, un antieroe cattivo e poco rassicurante. Io di Indiana Jones non mi fiderei mai… per questo l'amo. L'amavo.

Harrison Ford e il suo Indiana Jones...

Questo protagonista, e questo attore, nei Predatori dell'Arca perduta ha senso solo come mediocre e predestinata vittima, giustamente presa a calci in culo da un'avventura molto fuori dalla sua portata di americanastro col cappellaccio, un pochettino superiore alla media terribile di un popolo sbrigativo e superficiale – destinato a non capire e quindi a perdere. L'avventura dei Predatori è colta (l'Arca dell'Alleanza viene dallo studio serio della Bibbia), vera (la polvere del deserto e l'epoca di guerra mondiale razzista), sincera (Spielberg è ebreo e intimamente legato a religione e nazi) e misteriosa (non si spiegherà mai cosa sia l'Arca in concreto, né cosa contenesse, il suo potere o la sua fine; ne resta solo un sapore vagamente mistico e comunque incomprensibile).
Un predatore, per di più americano, non può mai vincere felice e contento nella facile soluzione di enigmi raffazzonati, confusi, finti e noiosamente rassicuranti, come sono tutti gli altri episodi, dalle Pietre Shivalinga nel Tempio al Graal della Crociata, dai Teschi di Cristallo del Regno all'aggeggio di Archimede nel Quadrante. Inoltre, un predatore è sempre un figlio di buona donna respinto da tutti, totalmente e consapevolmente solitario: non si può fidare di ragazzetti pestiferi (Short Round), padri padroni (Henry senior), figli volenterosi (Mutt/Henry III) e, in ultimo, antipatiche figliocce (Helena Shaw)… per di più con bande appresso.

Diavolo! I predatori sono Cattivi e, anche se meno cattivi dei dannati nazi, degli assassini Thug o dei dittatori stalinisti, devono sempre perdere e stare male. Sono ipocriti che devono restare soli e arrabbiati col mondo. Ladri di tombe sconfitti da un ordine sociale comunque benigno e ridicolizzati da una Bontà Superiore.

Tre postille sulla saga

 

Uno. L'oggetto più affascinante in realtà forse non è il Santo Graal. L'Arca perduta ha tutto: fascino, mistero, poteri indicibili. Se il Graal parla di un Dio buono, amorevole, con il potere di dare e prolungare la vita, l'Arca parla di un Dio guerriero, da temere, con il potere di portare distruzione. In effetti sono legato al Graal perché per me è Re Artù, ma l'Arca è superiore. Anzi, è la prova finale. I Predatori è l'unico film perfetto di Indiana Jones anche per questo: l'oggetto della ricerca, il MacGuffin, è cattivo come e più dei personaggi.

Due. In “Star Wars – Episodio VII: Il risveglio della Forza”, film superiore che inaugura una Terza Trilogia fondamentale per la Saga di Star Wars, l'altro predatore fordiano Han Solo ha una vecchiaia giustamente molto simile a quella di Indiana Jones, ma fa una fine ben più coerente e perfetta.

Tre. Molti, in origine, trovavano facili paragoni tra Indiana Jones e Corto Maltese. Il genere è lo stesso, la sincerità è uguale, il genio è il medesimo, ma il romanticismo proprio no. Il Corto di Hugo Pratt non è un materialista, è un idealista.

La mia sul Quadrante del Destino – CON SPOILER

A metà di “Indiana Jones e il Quadrante del destino” so già che è semplicemente una cagata pazzesca. Sono qui a farmi del male con un film da alzarsi e andare via dopo dieci minuti - resto solo curioso di vedere dove va a parare il finale con l'ovvio viaggio nel tempo... Seconda parte anche peggio. Totalmente insensato e scentrato, noiosissimo e banalissimo. Una perdita di tempo. Peggio pure del Regno del Teschio di Cristallo, filmacciazzo fallimento del 2008 ma che a confronto pare Kubrick; quello là aveva più inventiva, coraggio e senso, personaggi migliori e un minimo di atmosfera. Tutto dire.

Finto, vuoto, lento, ripetitivo e scontato. Roba orrenda che tenta (solo) di imitare lo Spielberg degli anni Ottanta. Sono senza parole.

All'apparizione dell'inevitabile bambino furbo ho vomitato: inizia facendo finta di pilotare un aereo e dicendo di non saper nuotare, imparerà a nuotare in apnea e piloterà un aereo che non ha mai visto prima. Il Quadrante del "Cestino": zero stelle su 5.

Dopo il pessimo Regno del Teschio di Cristallo non sarei mai andato al cinema per vederlo. L'ho fatto, con molta fiducia, solo per certe lodi che avevo letto dopo Cannes. Non l'avessi mai deciso! È pure sotto l'episodio IV. Nemmeno ha il coraggio di concludere la saga: alla fine del film si potrebbe andare ancora avanti con Ford. Per lo meno l'avessero ammazzato come Han Solo! Abbiate il coraggio di sotterrarlo con un bel fiore, lui e tutte le sue coglionate! O tenetelo inalterato, coerente con il passato e immortale come il Tarzan che beve dalla romanzesca Fonte dell'Eterna Giovinezza! Sinceramente mi aspettavo che, come per Tarzan e quegli antichi, bellissimi personaggi pulp, funzionasse l'immortalità del Graal, però riportandolo alla natura antica (e dimenticata dagli sceneggiatori) di predatore.

Questo Quadrante del Cestino non ha nulla. Nella parte migliore ripete lo Han Solo padre e marito fallito di Star Wars VII ma non ha nemmeno il nerbo di finire con personaggio e attore, ormai alla frutta.

Che poi, come sempre, il discorso è complesso. Per dire, amo gli anni Sessanta anche come rappresentati in questo episodio V di James Mangold, amo il 1969 e l'allunaggio, i nazisti che passano dalle V2 belliche alla progettazione dei razzi spaziali americani. Amo Indiana Jones che invecchia e analizza criticamente le epoche, dagli anni '50 dei dischi volanti nell'Area 51 del Regno del Teschio di Cristallo a questi anni '60 con zampe d'elefante e 500 per strada. Amo che si citi James Bond 007, origine e modello riconosciuti da Lucas e Spielberg, il quale odia i Beatles in Goldfinger 1964 esattamente come il vecchio Indiana Jones odia il rock hippy dei figli dei fiori '69 che lo sveglia in mutande. Amo anche che Harrison Ford invecchi col suo personaggio.

Ma bisogna farci bei film su, non puttanate indegne costruite in laboratorio, con il bilancino, per fare più marketing e intortare un pubblico che cerca prevedibilità e controllo.

L'arte, anche quella di Indiana Jones 1981, è invece libertà e sorpresa.


(Uno spunto sull'Arca mi è stato offerto dal grande indianajonesaro del Club Y4 Roberto “Darth Maggio” Magistro.)

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