top of page

Star Wars: Episodio VIII - Gli ultimi Jedi

Disegno di Filippo Rossi Jedifil: Luke Skywalker in Star Wars Episodio  VIII - Gli ultimi Jedi Fantastico

L’unico retaggio

del Cavalierato spaziale!

parte 1 (di 2)

analisi di Filippo "Jedifil" Rossi, scritta il 9 gennaio 2018

• Oggetto 1: una vecchia spada laser prima gettata via; poi spezzata in due.
• Oggetto 2: una minacciosa maschera nera subito distrutta.
• Oggetti 3: alcuni libri misteriosi, antichi più di mille generazioni, mai letti seppur riveriti e tramandati.
• Oggetto 4: uno specchio, in fondo a un buco melmoso, oltre l’acqua salmastra.
• Oggetto 5: un anello con il simbolo della Ribellione affidato a una giovanissima mano.
• Oggetto 6: un doppio dado da gioco che, apparso nel 1977, assume oggi, quarant’anni dopo, il ruolo più simbolico di tutti.

 

Questi oggetti sono al centro del film scritto e diretto dal giovane 44enne americano Rian Johnson, appena alla sua quarta opera. Film che si impadronisce clamorosamente della corona di “pellicola più importante di Star Wars”.
Affermo questo dopo un’ordalia personale che mai avevo provato prima di fronte a un’opera cinematografica. Pur avendo intuito da lungo tempo l’importantissimo fine narrativo di Episodio VIII, in linea con la fondamentale tematica che scorre da sempre nelle vene e nelle arterie della Saga starwarsiana (ossia la giusta fine dei Cavalieri Jedi*); il percorso del nuovo racconto filmico è talmente potente, inedito e complesso da avermi letteralmente sconvolto. La primissima reazione, dopo la première con gli amici, è stata di stanca e dolente freddezza, per un giudizio di “sufficienza risicata” grazie ad alcune, confuse genialate. In seguito, tra riflessioni e confronti sempre più allucinati, la bomba termonucleare si è innescata per poi esplodere, nel terzo giorno alla fine della seconda visione, in un principio di infarto e in una vera e propria Sindrome di Stendhal. Seduto su un marciapiede a Verona, recuperando il respiro mozzato tra le discussioni scatenate dei fan di Yavin 4, mi ha investito un fall-out di eterne domande e risposte sempre più illuminanti. Perché, se è vero come è vero che Guerre Stellari fa pensare, oggi questi grandiosi Ultimi Jedi di Johnson fanno pensare ancora di più.
Ho cambiato idea nel giro di tre giorni. Grazie a questo che adesso definisco lo “Star Wars massimo” (ossia il film più maturo e compiuto dell’epopea introdotta dall’adorato Guerre Stellari 1977 ma costruita dall’Episodio V del 1980), ho capito il senso dell’intera Terza Trilogia Sequel… Ritratto finalmente fedele e minuzioso del significato più profondo della Saga delle saghe, il capolavoro immortale del geniale George Lucas.

 

Forma e contenuto…

 

Il film in sé è imperfetto: molto, forse troppo lungo; alcune vicende, alcuni luoghi e alcuni personaggi sembrano sconclusionati. Certe potenzialità di Episodio VII sono state ignorate. Qualche momento comico appare una parodia di Star Wars. La prima parte l’ho trovata estenuante e a volte imbarazzante, la seconda parte migliora, nonostante sentori di trama forzata e alcuni momenti spericolati. 
Ma tutta questa imperfezione non può e non deve distogliere lo sguardo dallo splendore assoluto del risultato finale: anzi, un diamante può assumere ancora più valore se un segno sulla superficie lo distingue e lo rende unico. Le vette concettuali sono numerose e altissime, a mio parere le più alte della ciclopica catena montuosa starwarsiana.
È utile forse fare una distinzione tra l’aspetto formale e il contenuto degli Ultimi Jedi.
La “forma” è un film verso il quale provo reazioni personali puramente emotive – che, in certi punti, sono state anche negative. Esempio sulla dicotomia Forma/Contenuto: la città-casinò Canto Bight su Cantonica; perché ci si va e come se ne viene via o com’è presentata (troppo banalmente “americana”, tra slot-machine e scommesse sulle corse, proprio come appariva la tavola calda anni ’50 di Dexter Jettster in Episodio II)… è tutta roba che a pelle non mi è proprio piaciuta; la accolgo tra i punti più bassi di SW per come l’ho sempre inteso, ossia una variazione galatticamente irriconoscibile di riconoscibili scenari terrestri.
Sul “contenuto” d’altro canto condivido analisi e giudizi più articolati, più approfonditi, in crescendo. Elaborati in relazione alla complessissima Saga della quale quest’opera è un Episodio molto importante. Qui il discorso è diverso: per la gran parte il film mi è piaciuto d’istinto, a tratti esaltato; cerco quindi di capire il perché. Da questo punto di vista sono giunto alla conclusione che si tratti di un puro Star Wars in linea perfetta con la rivelazione cosmica della Forza e l’evoluzione storica di coloro che la vivono. Esempio su Forma/Contenuto: ciò che la città-casinò Canto Bight rappresenta, simbolicamente, è geniale. Un’allegoria galattica di livello eccelso sui tempi moderni terrestri e un concetto narrativo fondamentale, che spiega la nascita del Primo Ordine e il suo prosperare nella stessa Forza che tutto lega, anche gli integerrimi idealisti ai corrotti più immorali.
La conseguenza per me naturale è lasciar perdere i pochi dubbi formali: nell’esperienza starwarsiana si assimilano con il tempo - se si sono assimilati il Dianoga a periscopio del 1977, la Space Slug asteroidale del 1980, gli Ewok orsacchiotteschi del 1983 e il Jar Jar Binks pagliaccio del 1999/2005, non si può temere nulla! Invece, mi piace concentrarmi sugli enormi pregi filosofici, destinati ad assumere sempre più valore.
La classica cornice della divertente fiaba-action Space Fantasy, tra surreali corbellerie e contrasti fortissimi, racchiude il quadro più espressivo e rivoluzionario possibile. Tra le tante vette ci sono questioni che sto capendo un po’ alla volta ma sapevo già, dentro di me, come grandi. Tutte le parti dedicate a Luke Skywalker (interpretazione scioccante ma, a ben vedere, coerente in maniera terrificante) e a Leia Organa (figura che assume un’aura ormai favolistica, come una vera Principessa trasfigurata dei Grimm): due gemelli parimenti in sintonia con la Forza… se lo vogliono o se devono.

 

Oggetto 1: la spada gettata

 

Ecco perché dover impostare una Trilogia Sequel solo trent’anni dopo “Episodio VI: Il ritorno dello Jedi”! Da antico volere di Lucas stesso, alla Disney/Lucasfilm di Kathleen Kennedy serve trattare un Luke Skywalker quasi sessantenne. Perché Luke, per sua natura, carattere e formazione, è inevitabilmente parte del problema che perseguita da decine di migliaia di anni la Galassia starwarsiana; non è quella soluzione che noi, ottimisti appassionati, avevamo sognato nel nostro mondo primario per oltre tre decenni. Dal 1983 abbiamo difatti reso questo contadino delle sabbie, raffigurazione della semplicità, una complicata “leggenda”, buttandogli così addosso una croce non voluta. Lui stesso se ne lamenta, a livello meta-testuale, nel film!
Mentre il suo unico degno predecessore nell’Epica umana, Ulisse/Odisseo, è altrettanto fallace ma caratterizzato dal possesso di un’arma, l’arco che solo lui sa tendere; Luke, da vero Jedi evoluto, in Episodio VIII non ha più bisogno di stupide e dannose armi. La simbolica paterna spada laser azzurra che gli viene consegnata da Rey (la commovente investitura al contrario che chiudeva Episodio VII) viene subito gettata via con risentito disprezzo. È il medesimo gesto decisivo che, in ultimo, chiudeva il suo viaggio eroico ne “Il ritorno dello Jedi”, oggi ripetuto come primo gesto ambiguo de “Gli ultimi Jedi”. È sempre un allegorico campagnolo che continua il suo confronto critico con un’arma tecnologica distruttiva. Qui, come aveva fatto il piccolo schiavo Anakin in Episodio I, chiama “lasersword” l’elegante sciabola di luce dei leggendari Cavalieri Jedi, usando il termine dialettale delle persone semplici dei margini della Galassia.
Il regista sottolinea visivamente il significato “classico” della rinuncia alla lightsaber con un altro aggancio a Episodio VI: la scena del Porg che gioca pericolosamente con il pulsante di attivazione dell’arma puntata sulla faccia del compagno. Succedeva lo stesso con gli Ewok nel 1983.
L’atto del buttare via la spada laser, basilare nella Saga, oggi è necessario ma ambiguo perché il vecchio Luke è disperato, nonostante sia disarmato. Non è più il limpido Luke giovanile e speranzoso di trentaquattro anni fa.
Purtroppo, Luke è un Jedi, come suo padre prima di lui. 
Jedi evoluto, ma pur sempre Jedi: ultimo erede di una tradizione nefasta dedita al controllo superbo dell’incontrollabile, la Forza. I Cavalieri Jedi, Anakin Skywalker/Darth Vader e suo figlio Luke sono “uomini mortali” che falliscono per natura. La coerenza è allucinante e spietata: Luke è sempre stato ed è un Uomo; l’Uomo, per definizione, sbaglia.
In questo suo ultimo film Luke Skywalker, Cavaliere Jedi, tocca due sole volte un’arma, l’arma tipica del più famoso Ordine cavalleresco spaziale: una volta in flashback e una volta nel presente. In nessun caso la usa: nel primo, è la sua classica spada laser dalla lama verde, attivata in un gesto incompiuto ma terrificante che condanna la Galassia e decreta la sua stessa “morte”; nel secondo caso è l’immediata e definitiva rinuncia allo strumento principe di aggressione, la spada laser del padre - la stessa usata per la strage degli innocenti nel Tempio di Coruscant, Episodio III. 
Luke in questo film in realtà è da tempo moralmente distrutto: fin da quando ha riacceso la sua stupenda spada verde che aveva, però, saputo spegnere di fronte all’Imperatore del Male, Palpatine/Darth Sidious. La riattivazione avveniva per il motivo più grave: la pulsione a giustiziare preventivamente un ragazzo innocente, suo nipote Ben Solo, poiché ne aveva visto la certezza del male da compiersi… nella solita, ricorrente, maledetta visione del “futuro” che rende manifesto e arriva a far provocare ciò che si teme nel profondo; un potere inumano legato alla Forza Unificante. Quella stessa dottrina jedi praticata da Yoda, e di Yoda e dei Jedi “assassina”. 
Luke è caduto nel panico perché ha visto le conseguenze delle scelte del giovane Ben: l’omicidio delle persone care (Han Solo e Leia Organa, ovviamente) e il ripetersi dei crimini cosmici di Darth Vader. Per un attimo non può non cedere alle sue paure più profonde e agire, come sempre ha fatto, d’istinto. Attiva per un ultimo istante, decisivo, la vecchia lightsaber jedi personale e perde tutto. Certo, è l’innata compassione che da sempre lo muove, un tempo per Anakin, qui per la gente della Galassia… purtroppo è molto più naturale prendersi sulle spalle la salvezza di un padre che quella di intere popolazioni sconosciute. Il fatto è che gli Eroi sono Persone: uno dei temi principali di questa magnifica opera.
Di quell’ormai funesta spada laser verde, simbolo da spenta dell’eroismo ingenuo di Luke nel 1983 e, da accesa, immagine speculare della sua successiva caduta da adulto, non abbiamo più notizie - si specula gli sia stata sottratta dai Cavalieri di Ren dopo la tragedia del passato.
Quando incontriamo l’eroe classico di Star Wars, solitario sull’isola del Primo Tempio Jedi su Ahch-To, questi è già “morto”: l’isola è surreale, abitata da grotteschi pinguini volanti, tricheche-mucca e suore-tartaruga, irrazionale come un Purgatorio ultraterreno. Oltre lo specchio di Alice. Il buon Luke si è liberato delle armi jedi e si è volontariamente sconnesso dalla Forza universale, sconfitto dalla vergogna per quel suo impulso assassino, in cerca di una sofferente espiazione; vi rimane sospeso, tra creature assurde e luoghi fiabeschi, in attesa del suo destino, senza il coraggio nemmeno di suicidarsi. La non casuale venuta di Rey è per Luke una chiamata, ma non alle armi: alla comprensione superiore e alla sua stessa redenzione personale – in ultima analisi, alla fusione sospirata con la Forza, alla trasfigurazione simbolica per il Bene comune. L’ex-Maestro fallito, vero Cavaliere in esilio e auto-staccatosi dalla Forza, deve ricostruire la saldezza morale perduta. Nel film egli non fa nulla, se non gettare la spada (nel Ciclo Bretone è l’atto finale di Re Artù prima di “morire”, che fa gettare l’Excalibur nel mare); e viaggiare in se stesso guidato da Rey. Grazie a lei, espierà le sue colpe, ritroverà la fiducia e recupererà la connessione all’energia vivente dell’universo – e ai suoi abitanti.
In una delle sequenze più belle, il cupo Luke si limita a guardare da lontano, non visto, la “nuovissima speranza”, una ragazza del Fandom moderno vissuta nel mito pluri-generazionale di Star Wars, che gioca con la pericolosa spada laser contro una roccia; e, distruggendola senza volere, rischia di uccidere gli innocenti nei dintorni. “Con le armi non bisogna più scherzare”, sembra bofonchiare il segnato Skywalker, mentre si volta e se ne va disgustato. Nel frattempo, dopo un esordio identico allo Yoda apparentemente rincitrullito di Episodio V (una tattica per testare la determinazione dell’allievo), il vecchio eroe giunge a impartire a Rey tre sole lezioni teoriche… ovviamente, fallendo. La prima, la più istintiva, è sul Presente: lo stato di tutte le cose viventi (e non) legate alla Forza e dalla Forza legate – lezione riuscita. La seconda, la più dolorosa, è sul Passato: gli errori nella Forza dei Cavalieri dell’Ordine Jedi e il loro fallimento epocale con il Darth Sidious dei Prequel – lezione riuscita. La terza, la più importante, avrebbe dovuto essere sul Futuro… ma un Jedi da sempre viene distorto e distrutto dal terrore dell’incontrollabile, dell’ignoto, dell’incomprensibile: le infinite possibilità di amore e dolore che il Cavaliere tremante sa solo tradurre nella vuota locuzione “Lato Oscuro” e sa solo cercare di controllare con la perniciosa invenzione della “Forza Unificante”. Si tratta di un’esperienza sovrumana che la giovane Rey, non-Jedi, si deve insegnare da sola.

 

Oggetto 2: la maschera distrutta

 

Kylo Ren sveste subito i già magnifici panni di Episodio VII: quelli dell’ordinario ragazzo del Fandom starwarsiano (anche lui come Rey) che ama esaltarsi dietro un’intimidatoria maschera nera, molto più grande di lui. L’antieroe distrugge per sempre uno dei simboli cinematografici/letterari più decisivi, non solo in Star Wars: la Maschera, appunto. Eseguito il gesto rivoluzionario, il suo primo atto del film, Ben Solo cresce, matura, si esalta nel vestire con naturalezza sconvolgente i panni smascherati, ancora più importanti, dell’Anticristo starwarsiano.
Avevo sbagliato: pensavo che l’anticristo della Forza, il “Prescelto al contrario”, il Figlio della Colpa, dovesse essere invece il Supremo Leader del Primo Ordine Snoke, super-villain portante del film precedente. Ma Snoke è un inetto dotato della Forza, nulla più: e ciò rafforza, incredibilmente, la macro-storia legata al vero e unico antagonista.
L’ultracattivo “anticristo” è sempre stato ed è, in realtà, Ben Solo/Kylo Ren. Il figlio degenere dell’Uomo (troppo difettoso e lontano) Han Solo e della Dea (troppo perfetta e altrettanto lontana) Leia Organa Skywalker. L’anello di congiunzione Divino/Umano non può che essere arrugginito e spaccato. 
Il destino di questo fantastico personaggio in nero, ora è chiaro, è sempre stata la follia nichilista, spostata, vendicativa di tutto. Una pazzia molto affascinante perché divinamente inconcepibile ma umanamente comprensibile. 
Il vecchio, deforme Snoke ha avuto il ruolo di castratore idiota di Ben Solo. A forza di “castrarlo”, questo giovane gigante è giunto in due Episodi a impadronirsi della Galassia come nemmeno Palpatine/Sidious aveva saputo fare. Palpatine aveva le notevoli spine nel fianco del servo immane e Prescelto Darth Vader, del duo Kenobi/Yoda (i limitati ma eroici Jedi che non aveva saputo eliminare con l’Ordine 66) e, soprattutto, dei predestinati gemelli della Nuova Speranza. Kylo, invece, ha il dominio assoluto senza servi pericolosi; e come nemici “ribelli” solo un pugno di disgraziati guidati dalla sua vecchia, tenera madre (potentissima, certo) e da una ragazzetta innamorata di lui. Inoltre, a libro paga del Primo Ordine ha tutta la masnada di farabutti mercenari e capitalisti corrotti, tutte menti deboli facilmente influenzate dalla Forza che esibisce. 
A differenza dei politici Sidious/Vader, burocrati del Male che esercitavano il potere segreto dei Sith senza mai esibire in pubblico, al popolo imperiale, l’ultra-umana Forza; Kylo Ren non teme mai di imporsi con tutta la forza della magia che possiede, da Eletto: altro che discussioni diplomatiche o discorsi ad effetto! Egli, senza tanti complimenti e senza nemmeno alzare un sopracciglio, strozza a distanza il sarcastico rivale militare per salire al Trono e sbatte contro le pareti, in pubblico, qualunque schiavo inferiore inopportuno e fastidioso. La Forza per lui va usata senza alcun tipo di pudore o strategia. È un mostro scatenato nel cosmo.
Eppure… “Nessuno è perduto”, affermerà un Luke Skywalker finalmente tutt’uno con la Forza. Nessuno è portato al Bene o al Male. Tutti scelgono; nessuno è costretto e ognuno può decidere. Chiunque può salvarsi.
Cosa significa essere “perduto”? È perduto chi sceglie di fare ciò che è il Male: rifiutare il primato della relazione arricchente e che lascia libero l’altro; la dedizione all’egocentrismo assoluto; l’ammissione della relazione interpersonale solo in chiave di sottomettente e sottomesso; fare all’altro ciò che non vorresti fosse fatto a te. Ma in Star Wars “nessuno è perduto”: la strada della redenzione può sempre essere ritrovata, basta volerlo. Per arrivare a volerlo serve in primo luogo voler esser perdonati. 
Già in Episodio VII avevamo premonizioni, presagi della ricerca del perdono da parte di Ben Solo. Esitazioni e sguardi persi che esprimevano disperazione o necessità di lasciarsi tutto il dolore alle spalle. In questo Episodio, il segnale più forte è la straordinaria connessione inter-stellare tra Ben e Rey. Il contatto viscerale tra i due, che nel Risveglio della Forza aveva portato Kylo Ren a rivelarsi togliendosi per la prima volta la maschera blindata, qui si esalta in una doppia seduta psicologica a distanza. Incontri nei quali i due si scavano reciprocamente dentro, per distruggere le rispettive maschere di carne. La “forza” che li unisce è potente, mai vista prima: si accende in un erotismo inedito per la Saga, perverso poiché fa leva sui rispettivi lati in ombra. Rey ha paura di essere niente e nessuno, rampolla di una famiglia inesistente; ma questa ansiosa ricerca di una vocazione le offre un’energia fondamentalmente positiva. Kylo Ren ha la paura opposta: di non essere all’altezza dell’incredibile famiglia dalla quale proviene – è praticamente pronipote della Forza stessa, tramite il divinizzato nonno. I due sono entrambi soli: tutte le figure di genitore o maestro sono assenti o sconfitte. Se da Rey esplode la sua bontà d’animo, l’apertura e l’assenza di pregiudizi nel voler dare una possibilità a tutti, persino a Kylo Ren… Nel nero emissario di Snoke fa capolino una luce oscurata, una bontà bloccata. Perché la ricerca della seduta dallo psicoterapeuta è volontaria: Ben Solo lotta costantemente per liberarsi della maschera da Cattivo di Kylo Ren, reale o figurata. 
La scelta del Male da parte di Ben è stata ovviamente volontaria, seppur catalizzata dalle guide errate di Luke (che la legge come una colpa personale, avendo tradito il se stesso eroico per eccessiva sicurezza di sé) e Snoke (che affermerà, lo sciocco, di potergli entrare spudoratamente nella testa per deriderlo e usarlo meglio). Il ragazzo abbandonato cresce in un giovane uomo affascinante ma allo stesso tempo ripugnante, come da classica regola starwarsiana della fusione di opposti psicologici. Kylo Ren rimane però uno Skywalker spontaneo, esattamente come lo zio della colpa, Luke: senza pensarci su due volte, assassina in un lampo il padrone che l’ha “evirato” e proclama una furente dichiarazione d’amore alla preda sessuale. Rey riceve l’ordine amoroso, malato, di unirsi a lui, ammazzando il passato e mitigando insieme le loro solitudini cosmiche. Rey viene dal nulla, è nulla, tranne che per Kylo… quindi Kylo ha lo squilibrato diritto di possederla. Insomma, basta a questa insicurezza iraconda, nascosta per un intero Episodio dietro una comoda maschera corazzata di nero! Meglio fare tutto da solo, spaccare tutto e prendersi tutto quello che rimane. Se rimarrà qualcosa.
Kylo Ren è Ben Solo: un ragazzo lasciato solo da genitori egoisti e poi tradito dall’unica figura paterna che gli era rimasta, il Maestro Luke, lo zio celebrato e ammirevole. Oggi è mosso da una volontà nichilista di distruzione, di vendetta e di caduta universale. Ben e Rey sono legati spiritualmente e materialmente, al di là dello spaziotempo e oltre le stelle. Reciprocamente connessi, uguali e opposti che si attraggono e si respingono. Il sentimento non può non nascere ed è l’unica speranza per un’intera Galassia - alla faccia dei folli Jedi che avevano perduto il Cavaliere innamorato Anakin Skywalker!
Ben Solo è Kylo Ren: il malvagio anticristo oscuro che ha già fatto diversi passi nella direzione benigna del voler essere perdonato. Partendo dalla distruzione della maschera di metallo, attraverso il risparmiare sua madre Leia, fino all’implorare Rey di mitigarne la solitudine (perché il percorso del potere assoluto, che corrompe assolutamente, è sempre un percorso solitario). L’orribile colpa dell’assassinio del padre Han Solo può ancora essere scontata.
Il Lato Oscuro non esiste; esiste solo l’inclinazione personale e la libera scelta, nel porsi di fronte alla Forza. Si può dire che Ben Solo è un Luke Skywalker egoista e folle, mentre Luke Skywalker è un Ben Solo altruista ed empatico. Gli stessi nomi propri sono fortemente simbolici: il giovane è la tendenza al bene dannata dalla nera solitudine; il vecchio è la luce che arriva a farsi, alla fine, poetica passeggiata nell’etere.

 

Oggetti 3: i libri sull’altare

 

Nel doppio albero contorto al centro dell’isola-tempio di Ahch-To è custodito, su un altare naturale, il più antico e prezioso tesoro jedi: gli Otto Libri che racchiudono l’intera cronaca dell’Ordine. Più di mille generazioni di scoperta, di studio e di esperienza della Forza… dai 20mila ai 40mila anni (a seconda della misura in anni che si vuole dare al termine “generazione”) di sapienza cavalleresca dell’Infinito… che era giunta a elaborare, all’inizio della nostra storia, in Episodio I, un concetto.
I Midi-chlorian.
Amara ironia della sorte: a queste cavolate ridicole, si erano ridotti i gloriosi Cavalieri Jedi!
I Midi-chlorian erano un costrutto insensato, imperdonabile, dei Jedi in decadenza: contarli per “pesare l’anima” non ha senso in un universo in cui la Forza è tutto, lega tutto e tutti ed è in tutti. Questi microorganismi fanno parte del fantastico Canone lucasiano ma lavorano in maniera negativa dal suo stesso interno: da questo punto di vista sono uno geniale stratagemma che preannuncia e spiega l’intera Saga di per ora nove film. Definiscono nel dettaglio il grande fallimento dei Jedi – e venivano non a caso usati anche in relazione alle menzogne di immortalità che il diabolico Darth Sidious sciorinava per dannare la sua preda Anakin Skywalker; il Maestro Sith, Lucifero reincarnato, era terrificante nell’esaltarli per distruggere il Prescelto, trasformandolo nella sua “soluzione finale”.
Secondo Lucas, la presenza dei Midi-chlorian nel sangue non “spiega” la Forza: essa continua a legare anche piante, sassi o vuoto spaziale. D’altro canto, la loro differente concentrazione negli esseri viventi risolveva parzialmente, “logicamente”, le diverse ricettività, le varie predisposizioni, le differenti potenzialità nell’infinita Forza; ma la logica, nell’affrontare l’infinito, è drammaticamente parziale, quindi insufficiente – come ci insegna fin dal 1968 Stanley Kubrick nel suo “2001: Odissea nello spazio”. I microorganismi “antenne” della Forza esistono negli esseri viventi di SW, come del resto esistono i volanti Mynock dentro l’enorme lumaca-verme spaziale di Episodio V; sono i Jedi ad aver dato loro troppa importanza. Come se noi terrestri riducessimo a banali “numeri” il talento artistico o l’indole creativa, presenti in ognuno, per poi operare distinzioni e privilegi su questi calcoli. L’errore dell’Ordine è clamoroso e insistito (sbagliare è umano ma perseverare è diabolico) tanto che addirittura il suo miglior esponente, Qui-Gon Jinn, ne rimane coinvolto. A ben vedere si tratta di una tragedia magnifica e commovente. Questi ragionamenti deviati e decadenti dei Jedi li avevano portati nei Prequel addirittura al razzismo, sanato solo oggi in Episodio VIII… alla faccia delle “patetiche forme di vita” di kenobiana memoria! È proprio nell’elevare i Midi-chlorian a dogma, che i Jedi sono giustamente falliti; e da questo punto di vista la trovata dei “Midi-cosi”, così odiata e incompresa, diventa preziosissima.
Altra “grande conquista” dei Jedi, secondo le loro Cronache: il famigerato addestramento nelle Vie della Forza – dopo, magari, consigliabile selezione e adeguato sequestro degli infanti ritenuti “superiori”.
In Episodio V, a cosa ha portato il freddo, calcolatore, maledetto addestramento jedi dell’istintivo Luke Skywalker? Al fallimento totale degli eroi torturati, al tentativo di suicidio del loro alfiere ingannato, alla rovina di tutto. Invece, il giovane Luke in Episodio VI, infine, saprà vincere solo andando istintivamente contro l’addestramento jedi - come poi, del resto, falliva, da vecchio con Kylo Ren, perché razionalmente tornato ad allinearsi all’addestramento jedi. Che prevede, tra l’altro, terribili accademie scolastiche, o meglio asili, di spadate laser… Se non si capisce né si accetta che i Jedi sono il peggio del peggio, compreso soprattutto il loro demente agitare un’arma di luce contro uno sciocco Remoto, vedo molto difficile capire e accettare questa Saga Stellare. 
Pur essendo vero che tra un Jedi e un Sith è sempre meglio un Jedi, addirittura i Sith sono comprensibili, visti i danni compiuti dai Jedi! “Guerra non fa nessuno grande”: rimane questa l’unica perla reale di Yoda prima di Episodio VIII.
Lo stesso Anakin veniva battuto in duello dal Conte Dooku in Episodio II e da Obi-Wan in Episodio III perché imprigionato nelle stupidaggini jedi delle spadine luminose. In Episodio III Kenobi batte il giovane Skywalker/Vader perché quello era uno scontro tra due Jedi: uno caduto, l’altro vero; ossia due dementi pazzoidi - il più demente pazzoide dei due, ossia il più Jedi, vinceva. D’altro canto, se Anakin non fosse stato un Jedi decadente dotato di spada laser d’ordinanza, ma un Jedi evoluto tutt’uno con la Forza, avrebbe fatto tabula rasa di chiunque. Come fanno oggi i suoi figli gemelli e suo nipote.
Certamente i Cavalieri di Yoda erano mossi da buone intenzioni… ma sono i mezzi che definiscono l’etica, non i fini. Anche Saruman il Multicolore, ne “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien, desiderava, voleva aiutare davvero i “poveri” Popoli Liberi della Terra di Mezzo, dominandoli in modo paternalistico nella sua orgogliosa caduta dal Bene altruista. Gli alti ideali dei Jedi possono quindi portarli a setacciare i bambini “migliori” per sangue? Sottrarli al vivere comune? Elevarli a élite distaccata da qualunque empatia, addestrata al controllo bellico-politico e armata di strumenti militari letali? Sono belle domande, di profonde risonanza e attualità.
Come affermava il magnifico villain melkoriano Gellert Grindelwald nella saga di Harry Potter firmata da J.K. Rowling, “Per un Bene superiore” si possono commettere le atrocità più abbiette.
Se è questa la “sapienza” dei “grandi” Cavalieri Jedi, quegli otto libri su Ahch-To sono assimilabili al “Mein Kampf” di Adolf Hitler in chiave Star Wars. Del resto, il signor Hitler era convintissimo di operare per il bene superiore della collettività...
In Episodio VIII Luke, nel momento finale della sua confusa disperazione, vorrebbe bruciare il Mein Kampf starwarsiano: sarebbe, come sempre, un gesto comprensibile, da parte di noi pubblico terrestre: perché noi siamo umani come lui e disprezziamo, temiamo, schifiamo la banalità del Male Assoluto. Ma Luke, pur Uomo, pur uno di noi, è un Eroe, non è un imbecille e idiota nazifascista che brucia libri: si ferma e la fiaccola che tiene in mano rimane lì, innocua. 
Nel momento dell’impasse, che rischia la follia, deve tornare ad aiutarlo l’ex-Maestro fallito, che da insegnante era stato costretto a ridursi a suo allievo. E che adesso, da morto, si riscatta e torna a farsi maestro di vita, per pura generosità. Parlo di Yoda, ovviamente: la creatura decisiva della Saga delle saghe.
Mai l’ho immaginato, eppure ora è logico che, dopo Episodio VI, Luke fosse parte del problema dei Jedi nella Galassia. Non può allora che essere il Jedi più inumano, anziano ed esperto, adesso veramente saggio perché defunto, a intervenire per risolvere l’equazione e confortare il giovane pupillo. Questo maiuscolo Yoda si riabilita, dopo quasi un millennio di errori agghiaccianti, e permette la sanità mentale di Luke. In una sola scena è subito il miglior Yoda dell’intera Saga: il vero sapiente orientale, dall’etica adamantina perché ironica, pure simbolo occidentale di redenzione cristiana.
Yoda, di fronte ai dubbi immani del giovane Skywalker, si mette a ridere: il suo verde fallimento personale è evidente e lo accetta senza più paure. Non solo: Yoda lo ammette senza ipocrisia. I Jedi sono finiti per colpa sua, il migliore e più anziano di loro; sono caduti per colpa di loro stessi. Sono i rifiuti della Galassia. Pure lui, l’ex-grande capo, si è stufato di sbagliare tutto nei panni logori di “leggendario” Jedi... quell’inumano, duro, millenario guru verdognolo, minuscolo ma potentissimo depositario del sacro sapere dell’Ordine, si è finalmente (ri)fatto sciocco, imperfetto essere limitato. Pupazzo. Come è giusto; come è sempre stato e sempre sarà Luke; come siamo tutti noi dall’alba dei tempi, e saremo fino alla fine degli stessi: pupazzi tirati da stringhe siderali.
Mi tocca amare il vecchiaccio da morto… e qui, alla fine di tutte le cose, amo amarlo. Quella di Yoda è l’ultima palata di terra sulla bara dei Jedi, già deposta nella tomba da Anakin e inchiodata da Luke. Sulla lapide sta scritto, in lettere d’oro: “Interpretare e limitare l’Infinito in un codice mortale, anche etico, è un atto di hūbris (arroganza) che va punito”. È stato punito duramente. Serve trarne esempio e insegnamento.
Non ci si limita allora all’affermazione strepitosa di chiusura di un’epoca immensa, si fa anche profondissima autocritica positiva proiettata in avanti. Yoda, lucido e spietato, analizza e spiega a Luke il ruolo decisivo del “maestro/padre”: un ruolo fecondo ma ingrato, obbligato al farsi da parte sul più bello. Perché se il passato appartiene da sempre ai vecchi, il futuro appartiene per sempre ai giovani. Il maestro/padre deve saper essere, con umiltà, un terreno fertile dove possa crescere il nuovo albero; ma il destino aereo dell’albero non è un fardello della terra che lo genera. Chi insegna è obbligato a trasmettere gli errori commessi, ma deve lasciare sbagliare l’allievo/figlio!
Infatti… Yoda: “That library contained nothing that the girl Rey already possess” - più o meno, “quella libreria non conteneva nulla che la ragazza Rey già non possegga”. Il Mein Kampf dei Cavalieri è integro e in nuove mani, in un cassettone del Millennium Falcon: gli Ultimi (testi) Jedi non vengono bruciati, vengono invece tramandati e potranno ancora fare danni… Starà al giovane virgulto Rey la scelta.

 

Oggetto 4: lo specchio nel buco

 

Su Ahch-To assistiamo alla definitiva sequenza cinematografica sulla Forza… degna erede dell’Albero su Dagobah nel 1980, forse ancora più impressionista e impressionante. Durante la prima lezione, Rey si espande sotto la guida dello Skywalker e sente l’energia vivente dell’universo, che è sempre, ovunque, in chiunque… ed è allo stesso tempo creazione e distruzione, vita e morte, benedizione e maledizione. Rey è una mortale, come qualunque Cavaliere Jedi o Oscuro Signore dei Sith che l’ha preceduta; e da mortale il suo mondo interiore, limitato, interpreta la Forza e la traduce, anche, in un “Lato Oscuro” privato. Il suo Lato Oscuro. L’ultimo Jedi evoluto Luke ne è terrorizzato; la nuova rampolla cosmica Rey, no. Come nel 1977, durante la primissima “lezione” jedi di Obi-Wan “Ben” Kenobi alla Nuova Speranza, il Lato Oscuro impone la sua introduzione immediata nell’esposizione dell’immortale Forza da parte di un essere mortale.
In Episodio VIII ciò che il Jedi definisce “Lato Oscuro” viene raffigurato in un pozzo nero, circondato da una corona di alghe marce e morte, situato in una caverna buia sferzata dalle onde furiose del mare.
Luke Skywalker afferma di aver già provato in precedenza la “Raw Force”, la “Forza cruda” che adesso sente in Rey - possiamo presumere l’avesse sentita nel vecchio allievo, il nipote perduto Ben Solo. Una Forza cruda perché è al di là delle codificazioni impaurite dei Jedi, possiamo dire la Forza prima della “cottura”. È “The Force” (la Forza degli Altri?) originaria, pura, oggettiva – non soggettiva. Invece, la Forza soggettiva diviene Lato Luminoso e Lato Oscuro, perché il libero arbitrio degli esseri senzienti, compresi i Jedi e i Sith, la declina in Bene e Male a seconda delle loro pulsioni.
I due giovani eredi della Forza, Rey e Ben, sono evidentemente legati da un talento e da un destino comune: entrambi non temono l’oggettività primordiale, inumana dell’energia vivente. Non temono di assaggiare Dio o l’Infinito con i sensi umani. Non temono il lasciarsi andare, la perdita di controllo… Non hanno paura di guardare il sole con gli occhi aperti.
Luke proclama che non ebbe nessun timore della capacità di Ben di guardare la Forza Cruda, ma adesso ammette di temere quella che manifesta Rey. È un indizio della crescita sull’isola-purgatorio del mitico personaggio di Mark Hamill: la paura non è sempre negativa. Il vecchio fallimento, sconsiderato e superbo, con Ben ha avuto conseguenze nefaste; con Rey servirà agire in altro modo, più prudente e umile - ascoltando e imparando dalla paura. 
Qui Luke si ferma. La terza lezione, quella del Futuro, Rey deve e sa affrontarla da sola, come lui stesso fece su Dagobah. Il “futuro” per un Jedi è la strategica Forza Unificante, che concede parziali ma significative allucinazioni (con tutti i contro delle profezie classiche: inseguire le proprie visioni arriva a provocarle) del continuo divenire reso fatto tangibile; regala visioni della verità come se fosse posta al di là di un velo. Ma la “verità” sono le paure umane che la Forza, estraendole da chi guarda, sa raffigurare, mentre il velo è il filtro imprescindibile del sentimento umano. Sono, infatti, frammenti di immagini disturbate da sensazioni lancinanti, da sentimenti personali, da interpretazioni passionali che portano il pericolo della perdita di lucidità; dell’assenza di imparzialità, quindi. Le sensazioni, i sentimenti, le passioni impediscono il necessario distacco. Sono, in due parole, il Lato Oscuro. Il Jedi, auto-nominatosi guardiano di pace e giustizia nella Galassia, non può che temere, odiare, rifiutare il Lato Oscuro perché è l’interpretazione limitata e mortale della divina e infinita Forza Cruda; come specularmente, il Sith, agente del caos egotista, se ne nutre. 
Rey, visualizzato e individuato su Ahch-To ciò che Luke definisce “Lato Oscuro”, vi si addentra senza timore, ira, diniego. Con pura e semplice curiosità. Ella affronta il suo immancabile Viaggio eroico negli Inferi: si tuffa nel pozzo, emerge in uno stagno buio, si avventura sullo scoglio bagnato dalle onde marine… per vedersi inserita in una sequenza di infinite se stesse.
Questo Lato Oscuro può sembrare una trappola – e se lo sembra, per un cervello può certamente diventarlo; ma per la cristallina Rey non lo è. Il momento è decisivo. Dal cerchio di infinite se stesse si può uscire. Nessuno vi deve per forza rimanere perduto. La ragazza non viene travolta dal terrore, il circolo infinito nel quale sembra essere imprigionata non è quello che sembra. Ha una meta… Rey sa sentirne la fine, che è l’uscita dal labirinto. Oltre la soglia, alla fine del tutto sequenziale, vi è una destinazione: il vetro, la roccia levigata, lo specchio su cui si riflette il suo volto intelligente. Rey sente che può porre una domanda e il (suo) Lato Oscuro le impone quella più intima, personale… la soluzione del mistero doloroso della sua origine. Da quali esseri proviene? Chi l’ha generata? Perché è lì? La disumana Forza Cruda risponde da par suo. Le due figure indistinte che, al di là del velo di vetro, sembrano avvicinarsi per risolvere l’enigma del passato genitoriale si fondono in un’unica immagine finalmente definita: lo stesso viso specchiato, giovane e aperto, di chi interroga l’oracolo.
La risposta non è indietro, ma è sempre davanti…
La fila di infinite Rey è la vita, resa immagine cinematografica in una serie di fotogrammi successivi.
Lo schiocco di dita che Rey fa partire in avanti per vederselo tornare da dietro è il sistema sensato di cause volontarie ed effetti involontari che compongono la vita.
La meta al termine del cerchio della vita è la morte, che tutti attende.
La morte è uno specchio, che ti rimanda l’icona della tua stessa vita.
Lo specchio è la Forza, che è ciclo interminabile di vite e di morti.
La Forza è tutto e noi tutti siamo la Forza, da lì nati e lì destinati a tornare. 
Lato Oscuro e Lato Luminoso della Trilogia Classica, Forza Unificante e Forza Vivente della Nuova Trilogia Prequel: tutte dottrine che non esistono oggettivamente ma solo soggettivamente. Oggettivamente esiste la Forza Cruda, il cui segreto innominabile può anche essere, per noi esseri viventi dotati di raziocinio, la rivelazione spietata di ciò che si è nel profondo. 
La Forza Cruda è verità nuda, come per l’Aletiometro di “Queste Oscure Materie” (1995/2000) scritte dal britannico Philip Pullman. In quello straordinario caso letterario Fantasy, le risposte veritiere alle domande più complesse sono sempre semplicissime; più si elabora una “colta” e “adulta” traduzione, più ci si allontana dall’autenticità. Anche la recentissima seconda puntata della quarta stagione (2017) della geniale serie Tv inglese “Black Mirror” ci fa comprendere la relativa tragedia dei Cavalieri Jedi: intitolata “Arkangel” e diretta da Jodie Foster, ci presenta una madre ansiosa che, per il troppo amore, controlla la vita emotiva della piccola figlia tramite un congegno cerebrale; una volta cresciuta, all’adolescente viene proibita qualsiasi esperienza estrema, ambigua, pericolosa. Ella rimane sospesa tra un’esistenza da zombi insensibile e un’inevitabile ribellione sanguinosa. Praticamente, l’Ordine Jedi e un Anakin 2005 – o una Rey 2017. 
Episodio VIII chiarisce in modo definitivo (ma già era tra le righe da decenni) che il Lato Oscuro non esiste: si tratta in realtà dell’ennesimo errore storico dei Jedi, poi sfruttato dai Sith. Se la Forza è Dio, o il Tutto universale, e così è per George Lucas, non c’è allora nessun cambiamento in questo Episodio VIII. Anzi: c’è la spiegazione. Spiazzante, certo: ma lo spiazzamento fa parte da sempre del genio di Star Wars. Si tratta della continuazione scoperta del suggerito da Lucas: la risposta finale, ad esempio, alle scempiaggini jedi dei Midi-chlorian. 
È sempre stato così. È sempre stato che la Forza è in chiunque, perché la Forza è sempre stata Tutto. I Jedi e i Sith, con le loro interpretazioni parziali, hanno sempre sbagliato. Oggi, grazie a Rey si mette importanza come non mai alla scelta personale. Al libero arbitrio! La Forza è tutto, e per ciascuno di loro (di noi) è uno specchio: sta a loro (noi) vedere, capire e agire, secondo la scelta umana - empatia o egoismo, altruismo o vendetta.
Il mondo dei Jedi e dei Sith viene definitivamente, e finalmente, superato. Non è più, perché non è mai stato, “Che la Forza sia con te” o “Tu sottovaluti il Lato Oscuro”. Da adesso è e sarà, giustamente, “Tu sei la Forza – la Forza sei tu” e “Tu sei il Lato Oscuro – il Lato Oscuro sei tu”. Luke e Leia lo imparano e lo raggiungono, liberandosi del peso degli errori del passato; Rey e Ben Solo lo sono d’istinto e senza sforzo, già liberati dalla zavorra dei genitori.

Fine parte 1 (di 2) - continua e finisce qui, nella parte 2

bottom of page